giovedì 12 maggio 2016

Corriere 12.5.16
Da Renzi alla lotta di classe, i corsivi social di Macaluso
Ne «La politica che non c’è» una raccolta degli interventi su Facebook del giornalista ed ex dirigente del Pci
di Paolo Franchi

Il sonno della politica genera mostri, talvolta (all’apparenza) ridicoli, sempre (almeno potenzialmente) terribili. Ma proprio per questo, quando tutto o quasi sembra spingerti a fare il contrario, bisogna intervenire, continuare a dire la propria, impegnarsi nella battaglia delle idee anche se in giro ce ne sono pochine, tirare di fioretto e all’occorrenza di sciabola, non prendere sonno anche noi.
Facile a dirsi, molto più difficile, per non dire impossibile, a farsi. Sempre che non ci si chiami Emanuele Macaluso, classe 1924, sindacalista, dirigente di primo piano del Pci e da tempo soprattutto giornalista. E non si sia animati, come lo è Emanuele, da un radicatissimo rifiuto della teoria (da un pezzo dominante) secondo la quale il passato, a cominciare dal nostro, dovremmo gettarlo alle ortiche; da un profondo fastidio per la marmellata politica, intellettuale e morale in cui ci tocca vivere immersi; e, nello stesso tempo, da un’inesauribile curiosità non per un indistinto «nuovo», ma per le cose nuove (non tutte di necessità bruttissime) che effettivamente capitano in Italia, in Europa e nel mondo, e per le forze nuove (giovani in primo luogo) che ne sono, nel bene e nel male, protagoniste. Perché, se ci si chiama Emanuele Macaluso, ci si può anche, a 92 anni, avventurare quasi ogni mattina su Facebook. Per affidare alla rete interventi quotidiani, nella forma di quei corsivi a firma em. ma. che per decenni sono stati, prima sull’ Unità , poi sul Giorno e, infine, sul Riformista , un classico del giornalismo, come suol dirsi, cartaceo.
Adesso, Castelvecchi ne pubblica («La politica che non c’è», a cura di Peppe Provenzano, autore anche di una bella introduzione, e Sergio Sergi) un’ampia selezione. Macaluso chiarisce subito qual è la molla che lo spinge: «Se non scrivo, se non comunico quello che penso, per me è come morire». Vero, verissimo. Molto dipende, però, anche da quello che si scrive, i vecchi laudatori del buon tempo antico sono noiosi. Nelle note di em. ma, invece, ce n’è, come suol dirsi, per tutti i gusti, o quasi. Dovrei parlare degli interventi assai critici su Matteo Renzi e il suo Pd, lo so. Ma, almeno per me, sono fantastiche, anche perché ci dicono molto della cifra umana oltre che politica del personaggio, soprattutto due righe del corsivo che apre il libro: «La lotta di classe non va mitizzata, ma nemmeno archiviata. È la vita che ce lo suggerisce». Non è né un soprassalto di massimalismo né un pensierino dei Baci Perugina. È la constatazione, fatta da un uomo della sinistra riformista, che una lotta in questi anni c’è stata, eccome, e sin qui l’hanno vinta senza incontrare troppe resistenze «i signori che hanno in mano le leve del potere».
Ma pure l’aspirazione a una riscossa di cui Emanuele va a cercare (con simpatia, ma pure con prudenza e con realismo) i segni lontano da casa nostra. I mille comizi di Bernie Sanders («una platea di persone sedute o in piedi in una piazzetta, l’oratore in camicia con un microfono in mano») gli ricordano quelli che faceva lui, nella Sicilia degli anni Cinquanta. Possibile mai che «nella capitale del capitalismo e della modernità» ci sia chi è capace di suscitare «interesse, passione e determinazione per la politica e per la sinistra», e da noi si comunichino solo smargiassate o banalità via twitter o via talk show? Possibile, possibilissimo. Ed è possibile anche qualcosa di peggio.
Macaluso lo coglie perfettamente. Tanto è vero che il suo corsivo forse più urticante è quello dedicato all’ultimo film di Checco Zalone: «Negli anni in cui i partiti erano pezzi di popolo che facevano politica... nessuno pensava che Sordi potesse fare un partito. Totò lo fece, ma in un film, proprio per ridicolizzare chi si improvvisava uomo politico». Adesso che i partiti non vivono più nel popolo, «il messaggio politico che colpisce la sensibilità di tanti italiani è quello di Grillo, di Crozza e ora anche di Zalone». Un giudizio a dir poco pessimistico. Non abbastanza però da offuscare in em. ma. la voglia di reagire, «e soprattutto di esortare i giovani a farlo». Grazie, Emanuele. E, quanto ai giovani, cento di questi nonni saggi e ancora appassionati.