Corriere 12.5.16
Il «finanzcapitalismo» deve essere disarmato
di Roberto Sommella
Capita
che i tedeschi abbiano ragione. Immanuel Kant, nel cercare la ricetta
della pace perpetua, la individuò nella federazione tra stati, quello
che manca all’Europa oggi. Lo studioso Jorg Huffschmid ammonì come il
problema delle società avanzate fosse il «finanzcapitalismo» e non la
crisi. La finanza al cubo ha infatti completamente rovesciato il
concetto di capitale. Quello classico, che produce valore, quando si
costruisce una scuola, un ponte, si elabora una nuova medicina, si
creano posti di lavoro, sembra relegato ai tempi del Piano Marshall, lo
si vorrebbe rievocare con la politica dei «soldi dagli elicotteri» da
imporre alla Bce. Insomma è quasi un’utopia. Quello contemporaneo, il
valore invece lo estrae, imponendo e sfruttando prezzi e tassi sui
mutui, erogando prestiti a chi non può chiederli e rovesciando poi sulla
collettività i debiti degli altri, come accaduto nel 2008.
La
tirannia della finanza è costata agli stati 15 trilioni di dollari per
salvare banche, assicurazioni e fondi, mentre si è calcolato che con la
dematerializzazione di molte transazioni finanziarie, quasi l’80% dei
120 trilioni di dollari di azioni scambiati annualmente sulle borse
mondiali perseguano finalità speculative. Senza contare la mole di
derivati che non passano su mercati regolamentati e che possono valere
sette volte tanto. Questa enorme massa di denaro che potrebbe nutrire
due volte il mondo, si muove a seconda delle decisioni delle autorità
monetarie e delle istituzioni che le sovrintendono. E a dispetto delle
politiche economiche dei governi europei e della messa in sicurezza dei
loro sistemi bancocentrici. I regolamenti di Bruxelles su salvataggi e
coefficienti patrimoniali, la politica di tassi zero della Bce, la
tirannia della finanza globale, hanno prodotto un paradosso: la festa è
nostra — denaro a basso prezzo, rendimenti dei bond governativi
negativi, deflazione — ma il festeggiato sta altrove. Secondo i dati
riportati da Il Sole 24 Ore , da quando la Bce ha portato i tassi sui
depositi sotto zero, oltre due anni fa, le società non europee hanno
emesso obbligazioni denominate in euro per un totale di 170 miliardi,
quasi il doppio rispetto ai 98 miliardi dei 25 mesi precedenti. Sarebbe
interessante sapere se tutti questi soldi hanno contribuito a creare
posti di lavoro e se questi posti sono nell’Unione Europea o da qualche
altra parte. Come ha scritto in modo profetico Luciano Gallino, si nutre
la «bestia» piuttosto che coloro che sarebbero in grado di «produrre»
valore.
Prendiamo un altro paradosso: l’andamento dei listini
nelle quattro capitali europee colpite dal terrorismo islamico. La Borsa
di Bruxelles, nel giorno dell’attacco all’aeroporto e alla
metropolitana, ha chiuso in rialzo dello 0,5% e gli andamenti borsistici
Eurostoxx sono rimasti placidi nei cinque giorni successivi anche a
Madrid nel 2004, a Londra nel 2005 e a Parigi (gennaio e novembre 2015).
Sono dati che colpiscono. Sembra che una bomba o anche una cattura di
cellule terroristiche non facciano paura ai trader. Ma basta una parola,
anche il semplice silenzio, del presidente della Fed, Janet Yellen o
del numero uno dell’Eurotower, Mario Draghi, perché tutto si muova.
Almeno sui listini. E questo perché sono stati gli uomini a creare le
condizioni per il dominio del capitale sulla collettività.
Vita
reale e andamenti azionari vivono ormai realtà parallele. E’ il
confronto tra produzione ed estrazione di valore, tra chi vive di
reddito e chi vive di rendita, chi cammina per strada e chi sposta
ricchezze con un clic. L’Europa ha bisogno di aiutare chi vive di
reddito, famiglie e imprese, ma la sua politica monetaria per ora premia
chi si nutre di rendimenti. Non è per forza una colpa. Ma non potrebbe
essere diversamente. Sui mercati regnano infatti da almeno cinque lustri
quattro categorie immanenti: le grandi banche classiche, sempre
attratte dagli investimenti finanziari; la finanza «ombra» che a
dispetto del nome è molto concreta; i fondi pensione e gli hedge funds,
che di fatto possono decidere le sorti delle aziende e in alcuni casi
anche degli Stati. Sono i tre pilastri del nuovo regime economico, che
vive di regole che nessun governo è in grado di cambiare, per il
semplice motivo che sono stati gli stessi esecutivi (americani, francesi
ed europei) a decretarne in passato la libertà di azione.
Ci
vorrebbe una conferenza di disarmo finanziario, senza che a suggerirla
sia papa Francesco. Ma forse anche questa, come il denaro dal cielo, è
una grande utopia.