giovedì 12 maggio 2016

La Stampa 12.5.16
Un mondo in ebollizione tra conflitti e nuove identità
Nel fitto il programma di incontri gli autori che scrivono in inglese e in francese prevalgono sugli arabofoni
di Karima Moual

Non esiste la scrittura senza coraggio, aveva detto lo scrittore siriano Khaled Khalifa, a Roma, durante il suo tour italiano ad aprile. E a dire il vero, quel coraggio certamente non manca agli scrittori arabi, soprattutto in questi ultimi anni. Un esercito di autori muniti di carta e penna cerca di sfondare libro dopo libro il silenzio e la censura anticipando scenari sottotraccia. Mette a fuoco sentimenti, passioni, frustrazioni, ombre e luci della propria società senza fare sconti. Alcune volte riuscendo, altre volte meno. La strada però è in salita, e lo hanno raccontato bene da Beirut qualche giorno fa, durante il primo «Symposium on arabic novel». Quello che è emerso dall’incontro è che si sta assistendo a un boom senza precedenti non solo per quantità di produzione letteraria ma pure per qualità, grazie anche all’ascesa di un’industria editoriale attiva che investe nel romanzo in tutto il mondo arabo. Una notizia che certamente dà speranza.
E allora, come ci inseriamo noi, a Nord del Mediterraneo, in questo processo? L’appuntamento con il Salone del libro dovrebbe essere la miglior cornice per tradurre anche da noi questo racconto, in un tempo dove pullula l’informazione mainstreaming ma scarseggia l’approfondimento, quando la curiosità e la domanda italiana verso quel mondo c’è eccome. Chiusa la porta all’Arabia Saudita come ospite d’onore, si prova dunque a fare un focus con il programma «Anime arabe». Nel piatto si mischiano molti ingredienti, ma il problema è che scarseggia l’ingrediente principale e cioè la produzione arabofona. Manca cioè l’autentica letteratura araba della quale si è parlato a Beirut.
A Torino troveremo un programma certamente ricco anche di nomi di scrittori importanti, come Tahar Ben Jelloun, Yasmina Khadra, Boualem Sansal, Saleem Haddad, ma che in realtà scrivono in francese piuttosto che in inglese, di conseguenza rivolgendosi a un pubblico più occidentale che arabo. Uno sguardo fondamentale certamente ma non completo se l’obiettivo è provare a conoscere il nostro interlocutore arabo attraverso la sua produzione più alta e intellettuale. Una produzione da monitorare con uno sguardo profondo, necessario soprattutto per le fratture in atto, tra guerre, conflitti sociali, fondamentalismo islamico da una parte e riformismo dall’altra, nuove identità in formazione (per effetto anche della globalizzazione), femminismi di nuova generazione, cittadinanza attiva e una nuova coscienza araba.
Lo si prova a fare bene con l’iniziativa «quaderni dal carcere arabo» dove si leggeranno le pagine di quegli autori impossibilitati a esserci fisicamente perché in carcere (il siriano Mohammad Dibo, la saudita Badryah El Bishr, l’egiziano Ahmad Nagi) o perché non hanno ottenuto il visto (il saudita Abdo Khal). Si ricorderanno autori scomparsi ma fondamentali per la letteratura araba, come Mahmud Darwish, Fatima Mernissi, Assia Djebar e Nizar Qabbani. Né poteva mancare Adonis con il suo ultimo saggio, Islam e violenza (Guanda). Si parlerà di Siria con il giovane scrittore e giornalista italo-siriano Shady Hamadi; di Egitto con Lina Atallah, Ahdaf Soueif e May Temissany. Di sessualità con la franco-marocchina Leila Slimani, fresca del prestigioso premio Mamounia. C’è poi il panel sui giovani musulmani che vivono in Europa.
Ma l’impressione è che il programma «Anime arabe» sia ancora bisognoso di quel coraggio di cui parlava Khalid Khalifa. Il coraggio nostro, in questo caso: quello di tradurre quel mondo dalla sua lingua madre.