domenica 8 maggio 2016

Il Sole Domenica 8.5.16
Michel Serres
Il bello della dissimmetria
«Il mancino zoppo» è un autoritratto del filosofo francese. La sua condizione fisica è l’emblema del suo pensiero
di Gaspare Polizzi

In filosofia, lo zoppo più famoso lo troviamo nel metà nano, metà storpio dello Zarathustra di Nietzsche che riversa «pensieri-gocce-di-piombo nel mio cervello». Ma già Edipo, «dai piedi gonfi», discende da uno zoppo, Labdaco, «il cui nome significa «zoppo», «asimmetrico», come le due gambette, una corta e una più lunga, della lettera greca lambda».
Il mancino zoppo di Michel Serres è più vicino a Edipo che al nano di Nietzsche: quintessenza dell’umanità nell’era iniziata con l’industrializzazione e oggi chiamata Antropocene.
Il titolo esprime la condizione di Serres, mancino zoppicante – «già mancino, ho rischiato l’emiplegia: zoppico dolcemente» –, ma descrive anche, in uno stile proteiforme, un racconto a più voci che richiama i suoi personaggi concettuali, da Pantope ad Arlecchino, da Ermes a Pollicina (Petite Poucette, Le Pommier 2012, tradotto con il titolo un po’ bizzarro Non è un mondo per vecchi, Bollati Boringhieri 2013). In una procedura “matematica” di integrazione che conduce a quel Grande Racconto al quale Serres si dedica dal 2001 e per il quale ha coniato il neologismo «ominescenza», che, diversamente da «ominizzazione», indica, in quanto incoativo, «l’inizio di una trasformazione (come luminescenza, adolescenza, arborescenza, ecc.)» (J-P. Dekiss, a cura di, Conversations avec Michel Serres, Jules Verne, la science et l’homme contemporain, Le Pommier 2003). Lo strappo «ominescente» produce, tra il 1960 e il 1970, quelle «trasformazioni trans-storiche concernenti la crescita demografica, il corpo, il dolore, medicina e farmacia, sessualità, agricoltura, colonie, comunicazioni, efficacia tecno-scientifica mondiale, ecologia, cultura, morali, religioni... che riflettono le rivoluzioni contadine, il concilio Vaticano II e gli eventi del 1968». Uno strappo che il vecchio mondo non comprende ancora, cercando di «gestire il nuovo mondo, la nuova società, i nuovi uomini... con mezzi politici, economici, finanziari, culturali, pedagogici... tratti dal mondo scomparso» (Michel Serres, a cura di G. Polizzi e M. Porro, Riga 35, 2015).
Serres si impegna a fornire una filosofia del processo di «ominescenza». Il Grande Racconto inizia con l’evocazione del Big Bang e si conclude con un «elogio dell’attuale». Per intanto, nel Mancino zoppo fornisce un polifonico elogio del possibile e del contingente.
Serres ha attraversato discipline lontane fra loro – matematica, letteratura, fisica, estetica, diritto, storia, antropologia, informatica, sociologia, biochimica – per trarne ora una visione globale sintetica. Il Terzo-Istruito, eroe di un umanesimo sostanziato dal sapere scientifico, oltrepassa la divisione tra «istruiti incolti» e «colti ignoranti», tra scienze dure e scienze umane, alla ricerca di uno «spazio trascendentale di comunicazione».
Anche in questo libro Serres vede nell’informazione il tratto costitutivo di ogni differenziazione nell’universo, nella vita, nell’azione e nel pensiero degli uomini: «che cosa significa pensare se non, come minimo, effettuare queste quattro operazioni: ricevere, trasmettere, stoccare, trattare informazione?». Dal frammento di Eraclito «Il lampo governa l’Universo», alla definizione dell’informazione di Léon Brillouin come neghentropia, non vi è soluzione di continuità. Il «Grande Racconto delle cose, dei viventi e degli uomini» descrive la Puissance de la pensée (meno perspicuo il sottotitolo italiano: Dal metodo non nasce niente) con temi che rimbalzano dai sessantanove libri precedenti.
Ne illumino qualche frammento. Un’equazione unisce l’inventare e lo scoprire, «poiché tutto ciò che esiste, contingente, per emergere ha bisogno di una data quantità di rarità, cioè di novità». L’equazione pensiero-mondo è il leit-motiv del libro: «Lo sospettavate dall’inizio del libro, che fa pensare che il mondo pensi. Con l’enorme differenza che l’informazione e il pensiero, benché dello stesso genere, non appartengono alla stessa specie». Il pensiero inventivo si iscrive nella dissimmetria provocata dal nascere e dal conoscere, produce quelle «emergenze» rintracciabili in ogni sistema complesso, molecolare, cellulare, neurale: «Quando Léon Brillouin definì l’informazione come un’eccezione rarissima all’entropia; quando Pierre Curie lanciò, per la prima volta, l’idea di asimmetria; quando Louis Pasteur meditò sui cristalli enantiomorfi; quando, prima di loro, Lucrezio descrisse il clinamen, l’inclinazione, la biforcazione, la nanoramificazione, la rottura di simmetria a livello degli elementi primi, come costitutivi delle cose, non schematizzavano, non riassumevano, non addolcivano forse delle antiche figure, il corpo di quei mitici avventurieri, sempre distanti dall’equilibrio, mancini, essi stessi biforcanti dalle loro membra?».
Serres si trasforma in una levatrice, in francese sage-femme (letteralmente «saggia-donna»), per «aiutare a partorire il mondo nuovo», come Socrate, sterile ma efficace, con la sua maieutica, per far germinare la saggezza. Il nuovo mondo si intravede lungo la faglia profonda prodotta dallo strappo «ominescente». È il mondo di Pantope, «colui che passa per tutti i luoghi», e ora di Pollicina, «discendente diretta di Hermes», che ha scoperto «il significato fisico dell’avverbio maintenant: «Cellulare – dice lei – che sta in mano, adesso [maintenant], e tengo in mano [tenant en main] il mondo». Nel nostro tempo digitale, l’«alleanza qui proclamata delle scienze della vita e della Terra con il digitale ci allontana finalmente dalla guerra mondiale, nel senso del conflitto contro il mondo». Perché essa si realizzi sono urgenti una politica e una filosofia della storia, «che siano rispetto a quelle passate ciò che la meccanica dei fluidi è rispetto a quella dei solidi». E su di esse Serres promette di tornare al lavoro, seguendo il motto: «penser c’est anticiper».