domenica 22 maggio 2016

Il Sole Domenica 22.5.16
Napoli sotto la lava
La Storia riletta dagli isotopi
di Gianni Fochi

In ogni mela marcia può esserci uno spicchio buono. Sulla rivista americana «Proceedings of the National Academy of Sciences» un gruppo di ricerca internazionale trae deduzioni interessanti dal piombo che inquinò i sedimenti dell’antico porto di Napoli, accessibili negli scavi di Piazza Municipio. Alla progettazione e alla campionatura ha partecipato l’italiana Paola Romano, morta lo scorso novembre. I risultati gettano luce sulla storia dell’acquedotto avviato sotto l’impero d’Augusto e poi diffusosi alla grande.
Partiva captando la sorgente del Serino, intorno ai mille metri di quota. Fra percorso principale e diramazioni, l’Aqua Augusta, come veniva chiamato, si sviluppava poi per circa centoquaranta chilometri: serviva Napoli, Nola, Acerra, Atella, Pozzuoli, Baia, Cuma, Miseno, forse anche Pompei.
In generale scarseggiano le informazioni su come quella vera e propria rete regionale si sia evoluta e abbia reagito ai danni causati dalla celebre eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Si sa che l’idea originaria fu quella di garantire acqua potabile al portus Iulius, fatto costruire da Augusto come sobborgo di Pozzuoli per la guerra civile contro Sesto Pompeo, e poi a quello di Miseno, dove si spostò la flotta imperiale, mentre Pozzuoli si trasformò in centro commerciale di primo livello. Divenne naturale sfruttar l’acquedotto anche per gli scopi civili.
L’ingegneria romana costruiva le condutture principali, di grosso calibro, in pietra o calcestruzzo. A fontane, bagni pubblici ed edifici l’acqua veniva poi portata attraverso tubi di piombo detti fistulae. In passato, per ricostruirne i tracciati e quindi capirne lo sviluppo nel tempo, gli archeologi si sono affidati agli scavi e alle analisi geochimiche come altrove, ma invano: in Campania quei tubi non hanno lasciato nessuna testimonianza. Probabilmente il piombo dell’Aqua Augusta venne in seguito ricuperato e rifuso, antico esempio dell’unico riciclo sensato dei rifiuti, quello cioè che ha un valore pratico.
Il lavoro uscito sui «Proceedings» s’è dunque rivolto al piombo trasportato anticamente dall’acqua fino al terreno oggi scavato in Piazza Municipio. Là gli strati sono databili con certezza in base a ciò che vi si trova. Fra 436 e 485 centimetri sotto al livello che ha ora il mare, sono stati individuati gli strati corrispondenti all’eruzione del ’79, soprattutto grazie ai lapilli sparati in aria dal Vesuvio e ritrovati in quella sezione sotto forma di pallottole di pomice. Lungo tutta la profondità dello scavo il piombo è risultato molto al di sopra della sua dose naturale dovuta alle rocce locali: l’attività umana — verosimilmente tramite l’acqua che scorreva nei tubi — aggiungeva dunque una dose notevole di piombo.
Per avere informazioni approfondite e dettagliate, i ricercatori hanno indagato i rapporti quantitativi fra gli isotopi presenti, arrivando alla conclusione che dobbiamo apprezzare l’efficienza del servizio idraulico sotto Tito e Domiziano. Un elemento chimico è costituito da atomi che possono differire solo nel numero di neutroni, e quindi vengono suddivisi nei cosiddetti isòtopi: dal greco, significa che, pur presentando la differenza suddetta, occupano lo stesso posto nel sistema periodico, nel quale ogni casella contiene idealmente tutti gli atomi che hanno lo stesso numero di protoni. Il diverso numero di neutroni influenza quasi solo la massa atomica, poiché da questo punto di vista neutroni e protoni sono praticamente equivalenti: quindi per la massa conta la loro somma, mentre il grosso delle proprietà chimiche ordinarie è uguale.
Per molti elementi le percentuali degl’isotopi cambiano a seconda della zona d’origine. Sappiamo dai relitti di navi mercantili che in epoca romana i lingotti di piombo destinati al porto di Pozzuoli venivano dalle miniere spagnole, ma per la produzione dei tubi dell’Aqua Augusta il metallo potrebbe essere arrivato anche da altre parti dell’Europa occidentale. In ogni caso le percentuali dei vari isotopi sono da aspettarsi diverse da quelle riscontrabili nei costituenti naturali del terreno della Campania. Se dunque a un certo livello negli scavi i rapporti isotopici s’allontanano ancor più del solito dal valore geologico campano, per l’epoca corrispondente possiamo dedurre un aumento nell’importazione del piombo.
È proprio ciò che i ricercatori hanno ora trovato: un brusco cambiamento in uno strato risalente a una quindicina d’anni dopo il ’79. Che significa questo ritardo? Evidentemente i tecnici si misero al lavoro subito dopo l’eruzione, ma tirarono avanti alla meglio con l’acquedotto danneggiato, finché non ebbero pronto il sistema nuovo. A quel momento esso passò di colpo a sostituire il precedente. Quindici anni non sono poi tanti per un’opera così estesa e complessa: oggi per molti lavori pubblici di rilievo siamo abituati a tempi perfino più lunghi.
Le analisi hanno riguardato anche i secoli successivi. La tendenza all’aumento del piombo importato prosegue per un po’, dimostrando che la rete di distribuzione si estendeva: per un servizio più capillare o perché aumentavano le aree urbanizzate. A un certo punto, invece, i rapporti fra gl’isotopi del piombo tornano indietro. Mentre l’impero corre verso il tracollo, la crisi politico-economica si riflette sull’acquedotto e lo condanna alla fine per mancanza di manutenzione. Nel quinto secolo arrivano le invasioni dei visigoti e dei vandali, la peste del 467, una nuova eruzione del Vesuvio nel 472. Un’altra ancora ci sarà nel secolo sesto (512). Napoli sarà saccheggiata dai bizantini di Belisario nel 536 e poi presa da Totila, re degli ostrogoti, dopo un assedio estenuante. L’ultima attestazione scritta l’Aqua Augusta ce l’ha nel 399 col Codice Teodosiano. Sedici secoli più tardi, a farne riemergere la storia sono gli scienziati.