Il Sole Domenica 22.5.16
Roberto Calasso
Sotto le stelle della caccia
di Armando Massarenti
Roberto
Calasso racconta la storia dell’uomo unendo i miti e i riti alle
spiegazioni di paleontologi e genetisti. Il risultato è scientificamente
e filosoficamente implausibile
Nietzsche è stato, tra i filosofi,
uno dei più straordinari dal punto di vista letterario. Alcuni dei suoi
libri più noti Al di là del bene e del male, La gaia scienza sono
composti di aforismi di misura breve o media, splendidi esempi di
scrittura, di profondità psicologica e di forza persuasiva: ognuno
dotato di una sua efficacia autonoma, ma al tempo stesso collegato agli
altri con riprese e richiami i quali, passo dopo passo, contribuiscono a
delineare una posizione filosofica ben riconoscibile e che tuttavia
rifugge consapevolmente la costruzione di un sistema. Lo stile di
Nietzsche è inconfondibile per la sua capacità di presentare come
abissali tesi che in realtà, a ben vedere, spesso non sono molto
distanti dal buon senso scientifico o dalle pacatissime enunciazioni
dell’empirismo anglosassone del Settecento, oppure sono mutuate dalle
scienze del suo tempo la fisiologia, la fisica, la chimica, la
psicologia sulle quali egli si teneva sapientemente aggiornato. Da
quelle scienze traeva linfa per un discorso filosofico radicale, molto
enfatico nei toni e nelle conseguenze assai spesso inaccettabili, ma ben
informato dei fatti e delle acquisizioni recenti.
A voler fare un
complimento a Roberto Calasso e in questi giorni, sulla stampa
nazionale, nel rituale acritico delle anticipazioni editoriali, ne ha
ricevuti di assai esagerati si può dire che il suo ultimo libro, uscito
giovedì scorso per Adelphi, la casa editrice che egli stesso possiede e
dirige, ricorda molto da vicino, nello stile e nelle intenzioni, il
filosofo tedesco, sul quale peraltro egli ha scritto saggi di grande
acume, come quello che accompagna l’edizione adelphiana di Ecce Homo. E
ricorda anche, e per certi tratti ancor più da vicino, i Minima moralia
di Adorno, che a loro volta si rifacevano a Nietzsche.
Anche Il
Cacciatore Celeste (pagg. 508, € 27) dunque può essere letto paragrafo
per paragrafo, aforisma per aforisma, miniracconto per miniracconto,
assaporando ogni volta un breve testo ben congegnato, relativamente
autonomo e compiuto, e quasi sempre erudito e sorprendente, sapendo che,
perseverando nella lettura per 440 fitte pagine di testo, molti temi
centrali verranno espansi, approfonditi e ripresi da angolazioni
diverse, fino a formare una visione complessiva, un affresco che fin
dalle prime pagine promette di essere affascinante, incentrato com’è su
un passaggio fondamentale della storia umana: quello in cui Homo diventò
cacciatore. È allora che l’uomo inventò il «divino», sostiene Calasso,
e, nella Grecia antica, si mescolò con esso in un universo di
metamorfosi, un flusso di forme in cui, essendo visibile anche
l’invisibile, tutto si trasformava e i confini tra dèi, animali, uomini e
cose erano quanti mai sfumati e confusi: «Gli animali, allora, non
erano necessariamente animali. Poteva darsi il caso che fossero animali,
ma anche uomini, dèi, signori di una specie, demoni, antenati». Tutto
questo per effetto di ciò che sta all’origine della caccia: l’imitazione
da parte dell’uomo degli animali che lo consideravano selvaggina
attentando alla sua sicurezza e alla sua tranquillità. «Per cacciare,
continua Calasso occorreva prima imitare. Danzare il passo della
pernice, dell’orso, del leopardo, della gru, dello zibellino». E ciò si
trasmette nei miti, nei riti, nei sacrifici, che l’autore ripercorre
mostrando gli intrecci, le similitudini, le tracce e le cicatrici che il
passaggio alla caccia ha impresso in tutte le culture, osservando come
«nello stesso spicchio del cielo», tra Sirio e Orione, «non soltanto in
Grecia ma in Persia, in Mesopotamia, in India, in Cina, in Australia e
anche nel Suriname, per millenni si siano viste ogni volta le imprese di
un Cacciatore Celeste che non ci si stancava di contemplare». Fu
Artemis cacciatrice, gemella di Apollo, la più erotica di tutte proprio
perché altera e non disponibile, in un universo in cui Eros si confonde
totalmente con la caccia «a trasferire Orione in cielo, insieme al suo
cane, che diventò Sirio e fu detto Canis Major, “astro più splendente ma
sinistro, perché ai poveri mortali porta le febbri” si legge in Omero.
La catasterizzazione segnala la fine dell’èra della metamorfosi. Quando
qualcuno non può più essere trasformato, ma va salvato, diventa un
astro».
Le storie raccontate da Calasso poggiano tutte su una
sorta di grande congettura capace di tenere insieme tante cose
apparentemente separate e diverse: la storia, il mito, la religione, la
scienza. C’è una forte impronta filosofica che allude, e talvolta cita
direttamente, a volte mima, il racconto che la scienza ci propone sulla
storia dell’uomo. Lo si vede in affermazioni di questo tipo: «Gli uomini
diventarono animali metafisici durante la caccia. L’agricoltura avrebbe
aggiunto al pensiero soltanto un dato essenziale: il ritmo,
l’alternarsi tra fiorire e appassire». Oppure, sulla nascita dell’arte:
«Un giorno, un giorno che durò non meno di venticinquemila anni, gli
uomini del Paleolitico superiore cominciarono a disegnare. Che cosa? La
scelta non si poneva neppure: unico oggetto possibile erano gli
animali». Metafisica, arte e bellezza sono poi i temi che conducono la
riflessione verso un eroe filosofico del libro, Plotino, che con il suo
neoplatonismo unirà i cieli della Grecia e dell’India.
Ma questa
grande sintesi si può dire che funzioni? Davvero si può affermare che
paleontologi o genetisti delle popolazioni si ritroverebbero nel
discorso di Calasso? C’è da dubitarne fortemente. E non è questione di
seguire una ricostruzione scientifica della storia umana rispetto a una
rivale ugualmente scientifica. C’è innanzitutto un problema di tono.
Calasso afferma perentoriamente le proprie tesi, che hanno un’impronta
filosofica e non scientifica, e queste prevalgono su tutto. Le numerose
citazioni sono usate come appoggio per le sue idee e non per esporre le
idee degli autori citati.
Calasso afferma per esempio che «nella
storia di nessun animale è avvenuto uno scarto nel modo di vita così
brusco». Ma chi lo ha detto? Chi ha detto che il vero salto sia stato
quando è divenuto predatore e non, per esempio, quando ha usato forme
primitive di linguaggio per coordinarsi nella caccia con altri,
corrispondenti, come è stato dimostrato, a una certa fase di sviluppo
del cervello? «Il distacco dall’animale fu l’evento della storia». Ma
c’è davvero stato uno stacco? Non continuiamo forse a essere animali?
Darwin non collega l’uomo ai primati, come fa Calasso, ma mostra che
tutti siamo animali e che vi è unità nel vivente. L’arte per l’arte come
caratteristica specificamente umana: ma anche gli altri animali fanno
cose senza scopo immediato, come giocare. E siamo sicuri che gli animali
non imitino gli uomini? Di sicuro ci sono animali che imitano altri
animali. Chi ha detto che la conoscenza sia un procedere nel buio,
basato sull’imitaziome? Non lo è neppure per gli scimpanzé. E ancora:
come ha mostrato di recente una ricerca pubblicata su «Science», non è
certo che i primi utensili servissero per cacciare e non per incidere
rocce, oppure per tagliare la carne cruda non cacciata. Calasso peraltro
lega perentoriamente la dieta carnea alla nascita della caccia nella
prima parte del libro, salvo poi mostrare che Homo si cibava di carcasse
in precedenza, come fanno le iene, in una lunga, peraltro affascinate,
prolusione sull’India.
Perché le protesi sono imitazioni? Non
possono essere intese come potenziamento dei nostri arti? Chi ha detto
che geneticamente siamo uguali a 60mila anni fa? Studi recenti mostrano
che i geni sono cambiati anche nel corso degli ultimi cento anni. Di
immutato c’è semmai proprio l’apparato percettivo sensoriale che induce a
prendere scorciatoie cognitive e a incorrere in fallacie tipo quelle in
cui cade lo stesso Calasso. Così a Calasso capita di affermare
perentoriamente idee scientifiche giustissime per esempio in netto
favore del darwinismo poi però contraddette da buona parte della
trattazione, che ha forte l’impronta del lamarkismo, uno stile di
pensiero più ingenuo e vicino al senso comune non scientifico. Il
discorso è spesso teleologico e finalistico: si fa uso di descrizioni
intenzionali (l’uomo voleva questo e quello..); si allude al fatto che
sapiens sia una specie che è sempre stata sola, come nel classico albero
dell’evoluzione ottocentesco, con noi in cima, mentre abbiamo avuto
fino a poco tempo fa (ventimila anni) molti cugini con cui ci siamo
anche imparentati; e infine l’uomo è visto come l’animale più evoluto e
invece, come ha sostenuto Giorgio Vallortigara, si è evoluto come altre
specie ma con funzionalità diverse.
Il libro di Calasso mostra in
definitiva come possa essere poco lungimirante una filosofia che, in
nome di una propria implicita superiorità critica nei confronti delle
scienze (come accade anche in Adorno), non riesce a connettersi
produttivamente con il sia pur faticoso e congetturale progredire delle
conoscenze. Anche uno scienziato come Jared Diamond propose un grande
affresco sulla storia umana in Armi, acciaio e malattie. Ma lì era
sempre ben chiaro il confine tra quello che si sa e le ipotesi ancora da
verificare. Anche Nietzsche, che pure definiva il suo pensiero
«dinamite», o ci spiegava «perché io sono un destino», era piuttosto
umile e preciso quando, entro la propria visione filosofica, esponeva i
fatti o il pensiero degli altri.