Il Sole Domenica 15.5.16
Le malattie di Charles
L’evoluzione di tutte le età della vita
Darwin,
insieme medico e paziente, ci aiuta ancora oggi a capire come la nostra
storia ancestrale condizioni il nostro modo di ammalarci e di
invecchiare
di Pietro Corsi
La medicina non fu
mai assente dalla vita di Charles Darwin, in misura più marcata che non
per la maggioranza dei suoi simili. E questo non solo a ragione dei suoi
cronici malesseri e delle tragedie familiari che segnarono la sua vita.
Sulla famosa quanto elusiva malattia da cui fu afflitto per quasi tutta
la vita adulta si è scritto molto, e da molto tempo. Molti insistono si
trattasse della malattia di Chagas, che avrebbe contratto a Mendoza, in
Argentina, nel 1835, tramite la puntura di un insetto portatore del
parassita responsabile della malattia. Non mancano tuttavia studiosi che
ricordano come alcuni dei disturbi di cui il naturalista soffriva di
frequente (palpitazioni, problemi gastrici, eczemi) erano presenti anche
prima del viaggio, forse legati alla sua timidezza e ai rapporti
difficili con l’autorità: familiare, il padre, e professionale, i suoi
maestri e i grandi naturalisti del suo tempo, di cui temeva il giudizio.
Non a caso alcuni dei disturbi si acuivano in momenti di tensione di
stress.
Molto si è scritto, dicevamo, e molto si scriverà ancora,
trattandosi di ipotesi. Il fatto che l’Abbazia di Westminster non
permetta di prelevare campioni dai resti di Darwin non aiuta certo a
dirimere la questione, ma forse tali reperti non sarebbero da soli
sufficienti a spiegare la complessa sintomatologia descritta da Darwin.
Dalla parassitologia alla psicoanalisi, diverse discipline hanno tentato
di offrire una diagnosi attendibile dei molti disturbi che portarono il
naturalista alla morte all’età di 73 anni, il 19 aprile 1882.
Particolarmente fiorite sono le interpretazioni psicoanalitiche, che lo
vogliono (per un interprete) preda al rimorso per supposte fantasie
sado-masochistiche legate alla morte della madre avvenuta quando Charles
aveva otto anni.
Informazioni più attendibili si posseggono sulle
molte cure a lui prescritte, che seguiva con esemplare precisione. Sono
rimaste famose le docce gelate cui si sottoponeva anche in inverno, in
una sorta di cabina eretta allo scopo, che Darwin trovava di grande
sollievo. Frequentava anche stazioni di idroterapia, in particolare
quella del dottor Gully a Malvern, molto alla moda a metà
dell’Ottocento, o quella del Dottor Lane, a Moor Park. Il Dr. Gully
cercava di convincere Darwin dei vantaggi della chiaroveggenza nella
diagnosi medica, e delle virtù miracolistiche dell’omeopatia, due
soggetti di discussione che irritavano profondamente il naturalista.
Più
di ogni sofferenza fisica dovuta ai molti sintomi che lo affiggevano,
Darwin non si riprese mai dalla morte della figlia Annie, secondogenita,
e chiaramente la preferita, all’età di nove anni, nell’aprile del 1852.
Anche in questo caso, le diagnosi non mancano, ma sembra si sia
trattato di una forma particolarmente aggressiva di tubercolosi. Come
ricordavano i figli, Darwin non fu più lo stesso, e la malinconia lo
accompagnò sino alla fine dei suoi giorni. Lui stesso commentava che
l’evento aveva segnato il distacco definitivo dalla fede cristiana, e
dalla credenza in un Dio personale. Le sofferenze patite dalla figlia,
che in assenza della moglie Emma, a casa con gli altri figli, Charles
accudiva giorno e notte, e le inefficaci cure del Dottor Gully (erano
infatti a Malvern), che non sapeva da che parte cominciare (forse
comprensibilmente), portarono alla conclusione che nessuna divinità
avrebbe potuto permettere che una bambina soffrisse in tal modo.
Al
di là delle malattie e dei lutti, occorre ricordare che Darwin era nato
e cresciuto in una famiglia che vantava prestigiose tradizioni nel
campo della medicina. Non aveva potuto conoscere il nonno Erasmus, morto
nel 1802, ma la sua ombra imponente (e le consistenti ricchezze da lui
accumulate) aveva favorito in parte l’inserimento sociale di Charles sia
a Edimburgo, quando lui stesso studiava malvolentieri medicina nella
seconda metà degli anni 1820, sia a Cambridge, dal 1828 al 1831.
Anche
se spesso non rimarcato dagli storici, Charles era pur sempre il nipote
del controverso e ancora famoso poeta e teorico della medicina,
sostenitore di una visione della storia della vita sulla Terra che
alcuni hanno avvicinato a quella di Lamarck e di altri
proto-evoluzionisti attivi tra fine Settecento e primo Ottocento. La
Zoonomia di Erasmus venne tradotta in diverse lingue europee; i suoi
componimenti poetici riscuotevano plausi che non superarono tuttavia la
soglia del nuovo secolo.
Ai lettori di Byron o di Shelley, Erasmus
appariva un freddo facitore di versi neoclassici, imbevuto di scienze,
invece che di vita. Le accuse più o meno velate di deismo, se non di
ateismo, e il suo convincimento che la vita avesse avuto origine in uno o
più “filamenti” capaci di progressive complicazioni ravvivavano la
memoria di Erasmus nei circoli teologici e naturalistici
dell’Inghilterra dei primi decenni dell’Ottocento. Il famoso teologo
naturale William Paley aveva dedicato argute critiche a Erasmus nella
sua popolarissima Natural Theology (1802), ristampata innumerevoli volte
nel corso del diciannovesimo secolo.
Il padre Robert, uno degli
uomini più alti e imponenti che Charles avesse mai visto, continuava la
tradizione di famiglia, praticando una medica attenta alle condizioni
psichiche dei pazienti, prestando loro, a volte, ingenti somme di danaro
a buon tasso di interesse. Era in effetti questa la fonte della
considerevole ricchezza che Robert accumulò nel corso della sua vita.
Charles
chiese spesso consigli al padre, anche nella fase di elaborazione della
sua teoria dell’evoluzione. Era soprattutto interessato a tratti
comportamentali presenti in alcune famiglie; voleva sapere se tic o
forme di postura potessero trasmettersi alla progenie. Chiedeva persino
al padre di ricordargli una conversazione in cui Robert aveva osservato
che l’essere mancini poteva dipendere da abitudine contratte in famiglia
per imitazione. Lo interessava in modo particolare la possibilità di
trasmettere l’epilessia e disturbi mentali attraverso molte generazioni.
La
questione dei limiti della trasmissione ereditaria di comportamenti o
malattie non era solo una delle tante strade che Charles percorreva alla
ricerca di una chiave teorica per riassumere le leggi del mutamento
organico. Cogli anni, la questione dell’ereditarietà divenne un affare
personale, legato anche, dopo il 1852, all’impatto della morte della
figlia Annie.
A testi medici e a trattati di zootecnia che
discettavano di ereditarietà si era già rivolto con apprensione quando
considerava la possibilità di sposare la prima cugina Emma Wedgwood. Sia
i Darwin che i Wedgwood lamentavano storie di malattie e disturbi
nervosi; Charles temeva di essere lui stesso portatore di difetti
ereditari. Lesse alla vigilia delle nozze un testo di Alexander Walker,
Intermarriage (1838), una sorta di manuale medico-fisiologico
propedeutico al matrimonio, che affrontava anche la questione del
matrimonio tra consanguinei. Citando testi di zootecnia e di
antropologia, Walker concludeva che nel mondo animale, come tra gli
uomini, la progenie di coppie consanguinee tendeva progressivamente a
indebolirsi sia nel fisico che nella mente, sino al cessare di ogni
capacità riproduttiva. Il sospetto che i malanni sofferti dai figli
fossero dovuti alla consanguineità lo tormentò per tutta la vita adulta,
forse più di quanto non lo affliggesse la propria malattia.
La
questione non interessava solo la famiglia Darwin. L’Ottocento fu forse
in Europa il secolo con la maggiore incidenza di matrimoni tra primi
cugini. La scelta era incoraggiata da ovvie ragioni patrimoniali, viste
le doti che le ragazze di buona famiglia dovevano versare alla stesura
del contratto matrimoniale. Famiglie di banchieri Quaccheri,
industriali, commercianti e proprietari terrieri favorivano i matrimoni
tra primi e secondi cugini per garantire la stabilità del capitale e il
controllo familiare sulle nuove coppie.
Il problema delle
conseguenze mediche del matrimonio tra primi cugini arrivò persino alla
Camera dei Lord, quando alcuni amici di Darwin e in particolare il suo
ricco vicino di casa John Lubbock proposero che nel censo del 1871 fosse
introdotta una domanda concernente il grado di parentela tra moglie e
marito. L’augusto consesso sdegnosamente rigettò la proposta, vista come
una inaccettabile intrusione nella sfera privata, anche se un buon
terzo dei Lord si dichiarò a favore. Fu allora George, il figlio di
Darwin particolarmente portato per la matematica, a intraprendere uno
studio epidemiologico sulla presenza di variazioni significative (o
comunque percettibili) dalla norma nella progenie di coppie di primi
cugini. George lavorò sodo per trovare un campione statisticamente
accettabile di coppie che rispondevano ai criteri della ricerca. Alla
fine, con l’aiuto di Charles, che seguiva passo passo le sue ricerche,
inviò un questionario ai direttori di diverse decine di ospedali
psichiatrici.
L’ereditarietà dei disturbi del comportamento e
della follia era un tema molto dibattuto nella letteratura medica del
tempo. Ne concluse che non vi erano tracce significative di maggiore
morbilità nella progenie di coppie di primi cugini, anche se si sentiva
di consigliare di evitare tali unioni nelle famiglie povere, dove le
debolezze ambientali potevano sommarsi alla pur minima incidenza di
problemi dovuti alla consanguineità. L’unica vera preoccupazione di
George era che tra i vogatori nella classica sfida tra Oxford e
Cambridge l’incidenza di figli di primi cugini era inferiore ai dati
nazionali che era riuscito a estrapolare.
Significativamente, il
risultato dei suoi sforzi venne pubblicato nel 1873 su una rivista di
cultura generale, la Contemporary Review, a testimonianza dell’interesse
generale per la questione («On the intermarriage of relations as the
cause of degeneracy of offspring», vol. 22, pp. 412–26).
Da
gentiluomo di campagna studioso del mondo animale e vegetale e delle
loro variazioni, Darwin condivideva gli interessi del suo tempo per la
zootecnia e l’allevamento. In molti consideravano che le regole
dell’allevamento animale valessero anche per gli uomini, o comunque
consideravano legittima l’estrapolazione dal mondo animale a quello
umano e sociale. La sua storia personale e i drammi familiari
aggiungevano una nota di drammatica partecipazione ai suoi studi e alle
sue letture. Anche se, va detto, come in ogni famiglia Vittoriana, era
poi Emma a dispensare medicine ai figli e a vegliare sulla salute di
casa Darwin a Down, nel Kent.