domenica 8 maggio 2016

Il Sole 8.5.16
Uomini, numeri e «spiriti animali»
Molte cose influenzano l’economia: la voglia di spendere e di produrre, ma anche, inesorabile, la demografia
di Fabrizio Galimberti

Nell’ultimo mese ci siamo occupati due volte del rapporto fra demografia (lo studio della popolazione) ed economia. E abbiamo preso spunto da due episodi storici puntuali: la correlazione fra un fenomeno sociale e di costume – l’età delle donne al primo matrimonio – e i suoi effetti sullo sviluppo economico ai tempi della Rivoluzione industriale (Sole Junior del 10 aprile); e i rapporti fra protezionismo, natalità e sviluppo (i dazi sul grano nella Francia di fine Ottocento – Sole Junior del 1° maggio).
Questa volta parliamo più in generale dei rapporti fra demografia ed economia. L’economia, come sappiamo, è influenzata da tante cose: il clima, la geografia, i prezzi delle materie prime, i tassi di interesse, i cambi, le tasse e la spesa pubblica, gli ”spiriti animali” (cioè la voglia di produrre) degli imprenditori, e anche, perché no, gli “spiriti animali” (cioè la voglia di spendere) delle famiglie. Molte di queste influenze esercitano i loro effetti rapidamente, come le variazioni del costo del danaro o dei cambi, o le riduzioni d’imposta. Altre influenze, come il clima o la geografia, sono strutturali nel senso che sono lì da sempre e gli effetti sono quelli che sono. La demografia è diversa: gli effetti della demografia sull’economia ci sono, ma sono lenti a prodursi. Sono, diciamo, lenti ma inesorabili. Come i bradisismi – periodici abbassamenti o innalzamenti del livello del suolo, che sono lenti (mettiamo, 1 centimetro all’anno) ma certi – i cambiamenti demografici sono lenti ma esercitano una profonda e inarrestabile influenza.
La demografia ci dice, per esempio, quante sono le persone in età di lavoro. E, soprattutto, quante saranno fra dieci o venti anni. Se dobbiamo prevedere come andrà l’economia fra dieci anni, dobbiamo confessare la nostra ignoranza. E tanto più se ci chiediamo che tempo farà fra dieci anni. Da questo punto di vista, fare previsioni demografiche è molto più facile. Data la composizione della popolazione oggi, e date altre variabili che conosciamo – come i tassi di mortalità e di natalità (quanti muoiono e quanti nascono) - è relativamente facile stimare la popolazione in età di lavoro fra dieci anni. Certo, il numero di coloro che sono in età di lavoro dipende anche dall'arrivo degli immigrati, che è meno facile da prevedere. Anche qui, però, è possibile fare ipotesi con un ragionevole grado di certezza.
Si tratta di una informazione importante per prendere decisioni. Lo sviluppo di un’economia dipende, naturalmente, anche da quanti lavorano. Non solo lo sviluppo del reddito, ma anche la distribuzione di questo reddito dipende da variabili demografiche. Una volta determinato l’andamento della popolazione complessiva e l’andamento di quanti sono in età da lavoro, possiamo per differenza sapere quanti non sono in età di lavoro. I quali, per definizione, devono essere mantenuti da coloro che lavorano. Non vale dire che i pensionati hanno i loro redditi e non devono essere mantenuti da nessuno. Quando i pensionati spendono per il loro mantenimento, per comprare pane, salame, biscotti, o biglietti del treno, questi beni e servizi sono prodotti da coloro che lavorano, i quali, in questo senso, mantengono il resto della popolazione. Gli andamenti demografici ci possono dire allora se il numero di coloro che non sono in età di lavoro aumenta più o meno rapidamente rispetto al resto degli abitanti. Se, come succede in Europa e altrove, la popolazione invecchia, questo vuol dire che aumenta il numero di anziani da mantenere. Quindi coloro che lavorano dovranno sobbarcarsi fardelli crescenti, e la politica economica deve prendere le opportune misure per fronteggiare questa situazione. Per esempio, aumentare il numero di coloro che sono in età di lavoro innalzando l’età alla quale si va in pensione; oppure, il che è meno desiderabile, aumentare le tasse e i contributi a carico di coloro che lavorano, così da finanziare il numero crescente di pensionati.
Come vedete, i problemi che pone la demografia sono molti e seri. E il prendere in considerazione gli aspetti demografici serve anche a valutare con più esattezza lo stato di un’economia e a sfatare luoghi comuni. Prendiamo per esempio il Giappone: un Paese chiave, di cui abbiamo parlato, nella serie del Sole Junior sulla geografia economica, il 17 novembre 2013. Molti pensano che il Giappone sia sì un Paese ricco, ma anche un Paese che cresce poco. É vero? Sì, è vero se prendiamo il Pil (Prodotto interno lordo), la misura più importante dell’attività economica. Ma la demografia ci dice che da anni il Giappone è in declino demografico. La sua popolazione, che nel 1972 cresceva a un tasso annuo dell’1,4%, ha visto questo tasso di aumento diminuire quasi ininterrottamente, e, dal 2010, diventare addirittura negativo. Talché, se guardiamo, invece che al reddito complessivo, al reddito per abitante, vediamo che questo Pil pro-capite è cresciuto negli ultimi lustri a tassi comparabili a quelli del Pil pro-capite americano.
Gli andamenti demografici sono una variabile chiave anche, e specialmente, per i Paesi in via di sviluppo. Questi Paesi hanno spesso un alto tasso di natalità, il che rende difficile ridurre rapidamente la povertà. Più bocche ci sono da nutrire, più alto deve essere l’aumento del Pil perché il Pil-pro-capite aumenti anch’esso. Sia i governanti di quei Paesi che le agenzie internazionali che si occupano di promuovere lo sviluppo dei Paesi poveri, devono fare attenzione agli sviluppi demografici per prendere le misure giuste. La professione di demografo, insomma, è una professione utile e interessante. Mettetela nella lista delle cose che potreste fare da grandi. E intanto, date un'occhiata a questo sito web: http://www.census.gov/ - vi troverete un orologio della popolazione: fissatelo e vedrete, dopo una manciata di secondi, che la popolazione mondiale, mentre voi guardavate, è aumentata di 25 unità...