Repubblica 8.5.16
Mamme adulte e culle più vuote
di Alessandro Rosina
LA
PERCENTUALE, secondo le stime Istat, di donne mai diventate madri è
salita da circa il 10 percento per la generazione del 1950 a oltre il 20
percento della generazione nata nel 1970. Un motivo oggettivo sta nel
fatto che nelle nuove generazioni Il tempo disponibile per avere figli
si è ridotto all’interno di una fase della vita che si è, peraltro,
notevolmente complicata. Sempre più ragazze, in misura anche maggiore
rispetto ai maschi, estendono la propria formazione fino alla laurea. Il
trovare un buon lavoro ha sostituito il trovare un buon partito nei
motivi di indipendenza economica dai genitori. L’instabilità
dell’occupazione, assieme all’incertezza nelle relazioni affettive,
porta sempre più oltre i 30 anni il momento in cui si inizia a gettare
solide basi per una propria famiglia.
Nel frattempo, però, il
limite conclusivo del periodo fertile è rimasto pressoché immobile.
L’età media alla menopausa è poco sopra i 50 anni, ma già dopo i 45 le
possibilità di avere un figlio sono poche. Avendo spostato tutto il
percorso adulto dopo i 30, il momento riproduttivo centrale è diventato
quello tra i 30 e i 34 anni, con una possibilità di recupero dopo i 35
che però si trasforma in una strada in salita. I dati più recenti ci
dicono che oggi una nascita su tre si realizza nella classe di età 30-
34 e che la classe 35- 39, con il 25% dei nati, supera quella tra i 25 e
i 29 ( 23%). Questo vale ancor di più per le cittadine italiane che
concentrano tra i 30 e i 39 anni quasi i due terzi nelle proprie
nascite.
Lo slittamento in avanti del punto di inizio della vita
feconda, in combinazione con la rigidità del punto finale, ha quindi
ristretto notevolmente lo spazio strategico di accesso all’esperienza
della maternità. Nel contempo tale spazio si è anche riempito sempre di
più di investimento lavorativo e professionale. Siamo così uno dei Paesi
avanzati in cui si arriva più tardi a cercare di avere un figlio ma
anche, come ben noto, uno di quelli più carenti di strumenti per la
conciliazione tra lavoro e famiglia. La conseguenza di tutto questo è
che più facilmente ci si trova a rinunciare ad avere figli o a limitarsi
ad un figlio solo.
Fino a qualche anno fa, tuttavia, la
consistenza numerica delle trentenni era ampia e questo ha limitato la
caduta della quantità complessiva di nascite nel Paese. Stiamo ora però
entrando in una nuova fase, in cui le potenziali madri sono esse stesse
in riduzione perché provengono dalle generazioni nate dopo il 1985,
quando la fecondità italiana è precipitata ai livelli tra i più bassi al
mondo. L’Italia rischia quindi oggi di scivolare in una trappola
demografica: meno figli ieri equivalgono a meno madri oggi e quindi ad
ancor meno figli domani se le condizioni non cambiano.
Come uscire
allora da questa trappola? Soprattutto togliendo le donne stesse dalla
condizione di intrappolamento nella quale si sono sempre più trovate
negli ultimi decenni e consentendo, in tempi meno tardivi e alla più
alta espressione, la realizzazione delle loro scelte professionali e di
vita. Più tardiamo ad agire in questa direzione più pesanti saranno i
costi futuri.
Alessandro Rosina è docente di Demografia
all’Università Cattolica di Milano e curatore del “ Rapporto giovani
2016” dell’Istituto Toniolo