Il Sole 26.5.16
Renzi vuole la tregua, le condizioni di Bersani
Il premier: abbassare i toni - Ma l’ex leader alza la posta: elezione diretta del Senato e doppio turno di collegio
La riforma del Senato. Boschi ricorda i vantaggi dell’Italicum: si superano i veti dei piccoli partiti
La Cgil boccia la riforma ma non si schiera per il «no»
di Emilia Patta
ROMA
«Spero che prima o poi le polemiche di questi giorni finalmente si
abbasseranno. E a quel punto, diradata la nebbia, si scorgerà finalmente
il panorama. Si potrà cioè entrare nel merito e discutere di una
riforma che certo non è una riforma perfetta, ma è un grande passo in
avanti». L’invito ad abbassare i toni sul referendum confermativo sulla
riforma del Senato e del Titolo V viene da dove meno te lo aspetti: a
parlare non è il presidente emerito Giorgio Napolitano, né il presidente
del Senato Pietro Grasso, ma è lo stesso Matteo Renzi. Che - evitando
ormai da qualche giorno di personalizzare troppo il tema riforme con il
mantra “se perdo me ne vado” - invita a ragionare del merito del
superamento del bicameralismo e del riordino delle competenze tra Stato e
Regioni con una delle sue e mail, questa volta scritta durante una
pausa tecnica in Siberia durante il viaggio per il Giappone. «Poche
chiacchiere: solo in Italia abbiamo questo bicameralismo paritario. E
solo in Italia abbiamo una classe politica così numerosa e così costosa.
Vedrete che voteranno sì anche tante persone che magari non mi
sopportano o alle politiche no voteranno mai il Pd». Chiaro l’obiettivo,
dunque, di questo primo tentativo di spersonalizzare il confronto sulle
riforme: prendere il “sì” anche di parte degli elettori di Forza Italia
e del Movimento 5 stelle.
Eppure l’invito di Renzi a fermare le
polemiche sembra arrivare nel giorno sbagliato, dal momento che proprio
ieri l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani, in un’intervista a
“Radio anch’io”, ha alzato l’asticella delle “condizioni” della
minoranza del partito per l’appoggio alla riforma Boschi a un livello
quasi di non ritorno: «Io sono intenzionato a votare “sì” al referendum.
La riforma non è la panacea di tutti i mali, non è questa svolta
epocale, ma prevalgono gli aspetti positivi», premette Bersani. Ma alla
domanda se sia invece tentato di votare “no” risponde «non sbaglia»: «Se
le cose vanno avanti così fra quattro mesi ci troviamo tra le macerie
del campo democratico. Renzi deve tener conto delle obiezioni non
irragionevoli del no... Renzi dovrebbe annunciare una proposta di legge
per l’elezione diretta del Senato e la disponibilità a modificare
l’Italicum. Serve il doppio turno di collegio. Non si può scambiare un
ballottaggio con il doppio turno».
Ecco, non siamo più alla
richiesta di modificare l’Italicum introducendo il premio di coalizione
invece che di lista. Si propone tutt’altro modello, che è quello
storicamente proposto dal Pd ma inviso a tutti gli altri partiti e
quindi impossibile da approvare dal momento che il Pd non ha la
maggioranza in Parlamento. Tra l’altro il doppio turno di collegio alla
francese era una delle tre proposte messe sul tavolo della trattativa
con gli altri partiti della maggioranza e con Fi (gli altri due erano il
modello spagnolo e il modello cosiddetto dei “sindaci” da cui poi è
derivato l’Italicum). Tentativo già fatto, insomma. E ora che l’Italicum
è legge, quella di Bersani appare più come una provocazione che come
una reale proposta, e l’obiettivo sembra essere quello di tenere alta la
tensione interna almeno fino alle amministrative (i ballottaggi ci
saranno il 19 giugno). A Bersani risponde indirettamente la ministra per
le Riforme e per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, che
durante un convegno organizzato alla Sapienza di Roma dal
costituzionalista Stefano Ceccanti ricorda come con l’Italicum si
supereranno «i veti dei partiti più piccoli, causa nei passati 70 anni
di gran parte della instabilità del sistema italiano».
In
chiaroscuro, infine, la posizione assunta dalla Cgil con un documento
approvato dal comitato direttivo: pur bocciando il Ddl Boschi («norme
incongrue e inefficaci»), il più grande sindacato non ha annunciato il
“no” al referendum bensì l’impegno «a promuovere un’informazione di
massa e momenti di confronto per favorire una scelta partecipata e
consapevole». Nel clima surriscaldato di questi giorni in fondo non è
una cattiva notizia per il premier.