giovedì 26 maggio 2016

Corriere 26.5.16
Renzi esclude defezioni: cederanno
Ipotesi 2 ottobre per la consultazione
di Maria Teresa Meli

ROMA Moratoria, questa sconosciuta: nel Pd, nonostante la richiesta di Matteo Renzi di sospendere le liti fino al referendum, è polemica continua.
Il presidente del Consiglio, a questo punto, non capisce, non si adegua, ma per il momento preferisce non andare allo scontro: «Ho chiesto una moratoria e Roberto Speranza si è candidato alla segreteria, Pier Luigi Bersani ha deciso di attaccarci ogni giorno e così via. Che possiamo farci? Sono gli ultimi colpi prima del referendum», spiega il premier ai collaboratori.
Ma Renzi è convinto che, quando arriverà il momento, non saranno in molti, nel Pd, a votare No in ottobre: «Alla fine — confida il segretario ai suoi — io credo che la minoranza opterà per il Sì, adesso è chiaro che devono tenere il punto, ma li voglio vedere a dire No, sarebbe come negare l’impostazione riformista del Pd. Dopodiché chi insiste non verrà certo cacciato, perché io non ho mai cacciato nessuno. Vorrà dire che chi deciderà di comportarsi in questo modo si assumerà le sue responsabilità... Però, ripeto, sono convinto che il dissenso dentro il partito sarà molto circoscritto. Del resto, penso che anche chi non mi sopporta o chi non vota per il Pd dirà di Sì alla riforma».
Insomma, il presidente del Consiglio, che pensa di fare il referendum il 2 ottobre, fa mostra di non essere preoccupato del fatto che le polemiche sembrano essere diventate il pane quotidiano del Pd: «Siamo o non siamo un Partito democratico?», scherza.
Ma soprattutto il premier è sicuro di farcela e per questo non vuole dare troppa enfasi alla dialettica interna: «Vedrete che vinceremo anche questa volta come abbiamo vinto le altre. Prima riporteremo l’economia italiana ad avere un segno più davanti e poi otterremo un successo al referendum».
Il presidente del Consiglio sembra fare affidamento sul fatto che «non c’è un’alternativa politica al nostro progetto». Secondo lui è «inimmaginabile» che «un’alleanza eterogenea che va da Brunetta a Grillo a Salvini», e che comprende anche spezzoni del Partito democratico, sia in grado di dare un governo al Paese. Se non altro perché il Pd ha un segretario e quel segretario è fermamente determinato a sbarrare il passo a chiunque cerchi di mettergli i bastoni tra le ruote.
Ma dalle parti della minoranza si fanno già progetti per il post-referendum nel caso in cui il premier lo perda. Roberto Speranza (nonostante le perplessità di alcuni) sarà il competitor di Renzi al Congresso, se questi dovesse vincere la prova referendaria. Ma se ciò non dovesse accadere, allora i bersaniani cambieranno cavallo, perché, ragionano, di fronte a una simile evenienza, bisognerà far scendere in campo una personalità in grado di sostituire l’attuale premier a palazzo Chigi.
Inutile dire che il nome che ricorre più spesso nei conversari degli esponenti della minoranza pd è quello di Enrico Letta. Renzi sembra essere a conoscenza di tutti questi movimenti ma non appare troppo turbato, sicuro com’è che alla fine il Paese non perderà l’occasione di questa riforma.
Eppure ieri, nonostante tutte queste iniezioni di ottimismo, anche il presidente del partito Matteo Orfini ha criticato la linea del premier in vista del voto di ottobre: «Se smettono di gestire il referendum come un derby calcistico riusciamo a vincere le elezioni amministrative molto bene».
I renziani, però, non hanno interpretato le parole di Orfini come un attacco al presidente del Consiglio. Bensì, come l’esigenza, da una parte, di marcare il campo, per non far scomparire dalla scena i «giovani turchi», dall’altra di ammiccare alla sinistra interna e a Sel in prossimità del voto di giugno.