venerdì 13 maggio 2016

Il Sole 13.5.16
il negoziato Ue-Cina
Un altolà per evitare compromessi al ribasso
di Guido Gentili

La Cina è una superpotenza planetaria ed è, dopo gli Stati Uniti, il secondo partner dell’Europa. Ma non è “un’economia di mercato” (senza neanche l’aggiunta “socialista”) come spesso si sente dire e si legge per esempio nella versione italiana dell’enciclopedia online Wikipedia.
No, non lo è perché uno Stato a forzata trazione dirigista è in natura cosa diversa se non opposta. E perché, ad ogni modo, i cinque criteri stabiliti dall’Unione europea per definire le economie di mercato “non sono stati ancora rispettati”. Questo a giudizio del Parlamento europeo che, come previsto, ha approvato a grandissima maggioranza la risoluzione in cui si certifica che il gigante cinese non ha i requisiti perché gli sia riconosciuto lo status di economia di mercato (Mes) in vista del passaggio decisivo di dicembre, quando l’Europa dovrà valutare se concedere o no a Pechino questo storico via libera.
Intendiamoci. Il Parlamento europeo, al contrario della Commissione, non è l’organo forte della governance continentale. Tuttavia quest’assemblea legislativa è l’unica istituzione europea ad essere eletta direttamente dai cittadini. In tempi di crisi del progetto europeo, nel quadro di bassa crescita e crescente impopolarità della burocrazia che regge il timone di Bruxelles, non tenere in debito conto di una risoluzione certo non vincolante ma densa di significato politico e che impatta sulla vita delle imprese e delle persone, potrebbe essere un errore grave.
Il messaggio alla Commissione e ai governi degli Stati membri è semplice da capire. La Cina non è un’economia di mercato perché non ne rispetta le regole basilari. Domanda e offerta? Certezza del diritto? Sulla formazione dei prezzi e sui fattori produttivi decide lo Stato interferente e che usa la carta delle sovvenzioni ogni qual volta lo ritiene opportuno. Questa è la realtà, ed evidentemente l’Europa, che di occhi ne ha chiusi anche troppi, non può che prenderne atto.
Se Pechino (che esporta a prezzi bassissimi, è in cronica sovraccapacità produttiva e considera automatico il salto) raggiungesse lo status di economia di mercato, gli Stati europei e i loro governi (che viaggiano sul punto divisi: Italia e Francia sono per il no, Regno Unito e Germania si mostrano più disponibili) si troverebbero ad affrontare una feroce concorrenza sleale senza le norme antidumping.
Per l’industria europea vorrebbe dire un altro colpo durissimo, ed è stato previsto un crack occupazionale fino a 3,5 milioni di posti. Per l’Italia, seconda potenza manifatturiera d’Europa alle spalle della Germania, sarebbe un crack nel crack, dalla siderurgia al tessile, alla ceramica e molto altro. Come dire che ci troveremmo con la schiena industriale spezzata, ed è da valutare positivamente che il Governo Renzi (il dossier è stato sempre seguito dall’oggi ministro per lo Sviluppo, Carlo Calenda) si sia espresso, assieme ai parlamentari italiani di tutti i gruppi, con una posizione netta e chiara sulla questione.
Ora, il testo della risoluzione chiede alla Commissione Ue di mantenere in piedi le difese anti-dumping e di “opporsi a qualsiasi concessione unilaterale dello status di economia di mercato”. Lo hanno già fatto gli Stati Uniti, il Canada, l’India: il commercio mondiale è una gran bella cosa, ma ha le sue regole spietate, e se c’è qualcuno che va in pista col motore truccato la difesa è un obbligo.
Anche se la decisione dell’Europarlamento è un dato di grande rilevanza, la partita non è evidentemente chiusa e d’altra parte non è possibile neanche far finta che il caso-Cina, secondo partner di un’Europa che ha necessità anche degli investimenti cinesi per battere la strada ripresa, possa essere chiuso con un tratto di penna.
Si tratta dunque di individuare una soluzione politica a tutto tondo, senza compromessi al ribasso per l’Europa ed evitando che Pechino si senta tagliata fuori dal confronto.
La Cina non è oggi un’economia di mercato, ma è interesse dell’Europa che al mercato si possa aprire davvero, nei fatti, e non per uno scatto automatico previsto nel 2001 per il 2016.