Il Sole 13.5.16
L’Europa: la Cina non è economia di mercato
L’Europarlamento vota a stragrande maggioranza contro il riconoscimento dello status speciale
di Beda Romano
BRUXELLES
Si stanno moltiplicando i segnali contro la concessione dello status di
economia di mercato alla Cina. In attesa di una presa di posizione da
parte della Commissione europea, che dovrà presto dare il via a una
deliberazione formale da parte dell’establishment comunitario, ieri il
Parlamento europeo ha votato una risoluzione con cui ha preso posizione
contro questa possibilità. Da più parti, il mondo imprenditoriale ha
salutato il voto con soddisfazione.
È interessante notare che la
risoluzione parlamentare è stata approvata ieri a Strasburgo da un ampio
ventaglio di forze politiche. Sostenuto dai Popolari (Ppe), dai
Socialisti (S&D), dai Liberali (Alde), dai Conservatori (Ecr) e
dai Verdi, il testo è stato approvato con 546 sì, 28 no e 77 astenuti.
La risoluzione chiede alla Commissione europea di mantenere gli attuali
meccanismi anti-dumping e di «opporsi a qualsiasi concessione
unilaterale dello status di economia di mercato».
«Con il voto
odierno il Parlamento si schiera dalla parte dei produttori e dei
lavoratori europei contro la concorrenza sleale», ha detto Lisa
Ferrarini, vice presidente di Confindustria. «Questo ottimo risultato lo
dobbiamo ai nostri eurodeputati: senza il loro impulso e l’incessante
lavoro di questi mesi sarebbe stato impensabile». Ha aggiunto
l’associazione industriale AEGIS Europe: «Si tratta di un segnale forte
lanciato alla Commissione e al Consiglio perché non concedano lo status
alla Cina in modo affrettato».
Il Protocollo firmato nel 2001 e
che ha permesso al paese di entrare nell’Organizzazione mondiale del
Commercio prevede che alla scadenza di un periodo di 15 anni l’Unione
europea debba decidere se e come concedere alla Cina lo status di
economia di mercato sulla base di cinque criteri. Tra le altre cose, lo
status comporta una riduzione degli strumenti di difesa commerciale in
mani comunitarie, proprio mentre su questo fronte la Commissione si sta
dotando di strumenti più efficaci.
Di recente, Bruxelles ha
annunciato nel settore dell’acciaio la nascita di un nuovo meccanismo di
sorveglianza degli importatori non europei, che rimarrà in vigore per
quattro anni (si veda Il Sole 24 Ore del 30 aprile). L’iniziativa è
giunta mentre la siderurgia europea è minacciata dalla concorrenza
aggressiva di molti Paesi emergenti. Nella sostanza, Strasburgo ha
chiesto ieri alle autorità comunitarie di continuare a usare
«metodologie non standard» nell’imporre dazi alle merci cinesi spesso
sussidiate.
Sul caso Cina, la Commissione ha tenuto a inizio anno
un primo dibattito nel collegio dei commissari da cui sono emerse tre
opzioni: lasciare le cose come stanno; concedere d’emblée lo status; o
trovare soluzioni che mitigano l’impatto della concessione dello status.
Nel frattempo, è terminata una consultazione pubblica che ha raccolto
5.300 risposte provenienti da aziende, enti pubblici e privati. Sulla
questione, una proposta legislativa da parte di Bruxelles deve giungere
entro la fine del 2016.
La Commissione deve trovare una sintesi
politica e giuridica. Da un lato, la Cina non è solo un aggressivo
esportatore; è anche un partner cruciale che l’Europa non vuole e non
può inimicarsi. Dall’altro, non è chiaro il margine di manovra giuridico
dell’esecutivo comunitario. Mentre la Cina si dice convinta che il
Protocollo d’ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio impone
automaticamente dopo 15 anni la concessione dello status di economia di
mercato, l’Unione ha una interpretazione legale meno perentoria.
Forse
anche per questa ragione è emerso nella prima discussione tra i
commissari a inizio anno il compromesso, ancora oggetto di discussioni e
dubbi, di concedere lo status, ma adottando misure che ne
ammorbidiscano in qualche modo l’impatto. Gli Stati Uniti, dal canto
loro, hanno già annunciato che non intendono introdurre cambiamenti
legislativi su questo fronte, col rischio di subire da parte di Pechino
un ricorso dinanzi alle istanze commerciali internazionali.