Il Sole 13.5.16
Sfruttamento grave per 100mila
Vittime dei caporali oltre 450mila lavoratori agricoli
di Francesco Prisco
MILANO
Sono circa 450mila tra italiani e stranieri i lavoratori vittima del
caporalato, per una crescita rispetto alla precedente rilevazione
stimata tra le 30mila e le 50mila unità. E se fino a qualche anno fa
esisteva il caporale, inteso come figura isolata che “gestiva” in
maniera tutto sommato rudimentale lo sfruttamento della manodopera in
agricoltura nelle sole regioni del Sud, adesso si può parlare di un vero
e proprio sistema organizzato, connesso con le attività illecite delle
mafie e diffuso un po’ su tutto il territorio nazionale. Un fenomeno
ascrivibile a un’economia sommersa che in Italia si aggira tra i 14 e i
17,5 miliardi.
Numeri che emergono dal terzo rapporto “Agromafie e
caporalato” a cura dell'Osservatorio Placido Rizzotto di Flai Cgil,
ricerca che sarà presentata questa mattina a Roma alla presenza del
ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina e del segretario
generale di Cgil Susanna Camusso. Lo studio parte dallo sfruttamento
della manodopera e allarga il campo a tutte le attività dell'agricoltura
su cui le organizzazioni criminali lucrano, dalla logistica alla
gestione dei mercati, dall'import-export alla contraffazione. Una spia
dell'interesse delle mafie rispetto al settore agricolo è testimoniata
dal fatto che quasi il 50% dei beni sequestrati o confiscati alla
criminalità sono proprio terreni agricoli (30.526 su 68.194). Avanza
poi, in tempi di crisi, quella che il rapporto definisce la mafia
imprenditrice, ovvero il riciclaggio dei proventi dalle attività
illecite reinvestite nell'economia legale e nelle aziende agroalimentari
in difficoltà che fanno fatica ad accedere al credito. La gestione del
mercato del lavoro costituisce invece terreno di conquista per la
criminalità, mafiosa e non. In alcuni casi lo sfruttamento in
agricoltura viaggia di pari passo con il fenomeno della tratta degli
esseri umani. Dalle rilevazioni contenute nel rapporto emergono circa 80
distretti agricoli (indistintamente da Nord a Sud) nei quali è
possibile registrare grave sfruttamento e caporalato, seppur con diversi
livelli di intensità. A finirne vittima sono italiani e stranieri, con
più di 100mila lavoratori in condizioni di grave sfruttamento. Che
restano più o meno le stesse: mancata applicazione del ccnl, un salario
tra i 22 e i 30 euro al giorno, inferiore del 50% di quanto previsto dai
contratti nazionali e provinciali, tra le 8 e le 12 ore di lavoro
giornaliere, regime di cottimo (esplicitamente escluso dalle norme di
settore), fino ad alcune pratiche criminali quali la violenza, il
ricatto, la sottrazione dei documenti, l'imposizione di un alloggio e
forniture di beni di prima necessità, oltre all'imposizione del
trasporto effettuato dai caporali stessi. «Il fenomeno – spiega Ivana
Galli, nuovo segretario generale di Flai – è in forte mutamento. Tende a
trasformarsi in un vero e proprio modello organizzato dello
sfruttamento che in termini economici si traduce in concorrenza sleale
verso le aziende serie». Per arginare il fenomeno in Parlamento da circa
un anno è in ballo in Ddl. 2217.