Il Sole 12.5.16
Brasile
Tre crisi: istituzionale, economica e sociale
La fine del lungo ciclo economico positivo e la tangentopoli hanno creato uno scollamento tra società e politica
di Roberto Da Rin
Il
Brasile nel pallone, il Brasile di...un colpo di scena al giorno.
Questo Paese grande diventato un grande Paese pare irriconoscibile,
rispetto a pochi anni fa. Se ne parlava e soprattutto se ne scriveva
come di una locomotiva latinoamericana ma soprattutto di se stessa. Un
Brasile trasformato, più ricco, meno iniquo e, al di là di ogni
aspettativa, stabile e affidabile.
Ora sembra che si sia sgretolato tutto in pochi mesi.
Tre
statisti illuminati, Fernando Henrique Cardoso, Luiz Inacio Lula da
Silva e Dilma Rousseff, lo avevano accompagnato nel pantheon di quel
primo mondo anelato per decenni.
Ora due di questi tre presidenti, Lula e Rousseff, debbono difendersi da accuse politiche e giudiziarie quanto meno ingiuriose.
A
rendere più complessa l’uscita da questa impasse è la sovrapposizione
delle crisi: in Brasile non vi è solo una crisi istituzionale, ma ce n’è
una politica, una economica e una sociale.
I numeri della recessione
La
crescita vigorosa degli ultimi 10 anni è un ricordo vivido nella mente
dei brasiliani, schematizzata dai report delle agenzie di rating che ne
avevano rimarcato il trend positivo. Oggi invertito in modo brusco: il
Pil ha patito una contrazione del 3,8%, nel 2015. È il dato peggiore
degli ultimi 25 anni. Nel 1990 scivolò del 4,3 per cento. Le flessioni
più marcate sono state registrate nei settori industriale (-6,4%
dell’output) e minerario (-6,6%). Alle prese con un’inflazione al 10,7%.
L’economia
brasiliana ha subìto le conseguenze del calo dei prezzi delle materie
prime di cui il Paese è forte esportatore e il rallentamento della
domanda cinese, così come l’instabilità valutaria e la fuga di capitali.
I
dati dell’economia reale sono quindi sconfortanti e la politica
monetaria non è la leva utilizzata per dare slancio alla ripresa: il
tasso di interesse di riferimento (denominato Selic) è al 14,25% , e il
presidente della Banca centrale, Alexandre Tombini, continua a ribadire
la linea di politica monetaria restrittiva, anche per non dare ossigeno
all’inflazione, che negli ultimi tempi si è attestata al 10,7 per cento.
Il ciclone delle tangenti
Nel
1953 il presidente Getulio Vargas, contestualmente alla creazione di
Petrobras (il colosso energetico del Paese) coniò una forma espressiva
evocativa, nosso petroleo, il nostro petrolio. Che rimandava a una
ricchezza di tutti i brasiliani, fondamentale nello sviluppo del Paese.
Sessantadue anni dopo, nel 2015, Petrobras si è trasformato
nell’epicentro di una crisi giudiziaria e persino morale. Collettore di
tangenti, ricevute ed estorte alle grandi imprese industriali del
Brasile e poi redistribuite ai partiti politici. Uno scandalo che ha
investito l’intera classe politica del Paese e che ha disgregato una
società di 200milioni di persone.
La crisi sociale
Il
consenso superiore all’80% - raggiunto da Lula alla fine del suo secondo
mandato - non è stato solamente un record assoluto mai eguagliato da
nessun Paese democratico. È stato soprattutto la rappresentazione più
efficace di una coesione sociale scaturita dal combinato disposto di due
fattori: l’ingresso trionfale di 35 milioni di poveri nella classe
media e la stabilità delle variabili macrofinanziarie. La depressione
congiunturale e lo tsunami giudiziario hanno disgregato quel prezioso
patrimonio di governabilità. E acceso una conflittualità sociale mai
registrata negli ultimi 60 anni.