il manifesto Alias 8.5.16
L’occhio di un bue, l’esistenza di Dio, il salto di una palla: le lettere di Descartes
Lettere
1619-1648 tra René Descartes, Isaac Beeckman, Marin Mersenne, da
Bompiani. Tre intellettuali molto diversi per estrazione sociale, fede,
interessi teoretici, si scambiano idee che saranno fondative della
scienza moderna
di Alberto Gaiani
Nell’Europa
della prima metà del Seicento la riforma protestante e la controriforma
cattolica si erano ormai radicate e istituzionalizzate, la Francia si
avviava a essere il laboratorio dell’assolutismo di Luigi XIV,
l’Inghilterra era divisa tra i tentativi autoritari degli Stuart e le
rivendicazioni di un parlamentarismo nascente, in cui la componente
religiosa puritana giocava un ruolo cruciale, la grande monarchia
spagnola imboccava una decadenza irreversibile, e le piccole Province
Unite calviniste, da poco indipendenti, stavano per diventare un colosso
dei commerci marittimi.
La Guerra dei Trent’anni, ultima grande
guerra di religione europea, imperversava dal 1618 e si sarebbe conclusa
nel 1648. Le carestie e le pestilenze investivano ciclicamente le
popolazioni. In questa lunga fase di crisi, trasformazioni,
riassestamenti e novità, nacque una piccola repubblica delle lettere che
discuteva di scienza. Raccogliendo i frutti delle ricerche
cinquecentesche – due per tutte: il De revolutionibus orbium coelestium
di Copernico e il De humani corporis fabrica di Vesalio, entrambi
pubblicati nel 1543, e all’origine rispettivamente dell’astronomia e
dell’anatomia moderne – da diverse regioni europee dialogavano e fra
loro discutevano Keplero, Galilei, Descartes, Harvey, Torricelli,
Fermat, e altri forse meno celebri.
Il carteggio trentennale tra
René Descartes, Isaac Beeckman, Marin Mersenne, Lettere 1619-1648
(Bompiani, a cura di Giulia Belgioioso e Jean-Robert Armogathe, con
testi latini e francesi a fronte, pp. 1674, euro 55,00) costituisce un
documento prezioso per osservare tre intellettuali molto diversi tra
loro – per estrazione sociale, fede religiosa, interessi teoretici,
ruoli istituzionali – scambiarsi le loro idee, mentre in Europa si
affermava quel grande sovvertimento del modo di pensare e di conoscere
che avrebbe poi costituito la scienza moderna.
Protagonista
indiscusso del carteggio è Descartes: sua è la maggioranza schiacciante
delle lettere comprese in questa raccolta, centoquarantacinque
(centotrentasette a Mersenne, otto a Beeckman), contro le sei di
Mersenne (cinque a Descartes, una a Beeckman) e le sette di Beeckman
(sei a Mersenne, una a Descartes). Questo scarto si spiega per un verso
con l’abitudine di Descartes a tenere tutte le minute delle proprie
missive, per altro verso con le travagliate vicende di conservazione e
di trasmissione di testi naturalmente esposti al rischio di perdita o di
corruzione, ciò che evidenzia l’importanza della storia materiale dei
testi, in questo caso di difficoltosa ricostruzione, date le condizioni
in cui i tre autori si trovavano a scambiarsi questioni e soluzioni di
problemi, e punteggiata da smarrimenti, ritardi, indirizzi sbagliati e
corrieri distratti di cui si trova traccia nelle stesse lettere dei tre
(«le vostre ultime sono rimaste ferme per qualche tempo ad Amsterdam –
scrive Descartes a Marsenne – in attesa di colui al quale le avevate
indirizzate»; «mi stupisce molto che le tre lettere che mi dite d’avermi
fatto l’onore di scrivermi siano andate perdute»; «la perdita delle
lettere che vi avevo scritto verso la fine del mese di novembre»).
Il
promotore di tutti gli scambi tra i tre interlocutori è Marin Mersenne,
il meno brillante dei tre dal punto di vista scientifico ma di certo il
più assiduo nell’interpellare, sollecitare, mettere in contatto, porre
domande, inviare libri e manoscritti. Monaco dell’ordine di san
Francesco di Paola, eclettico per inclinazione e per vocazione, sognava
un’accademia europea delle lettere e delle scienze che viaggiasse per
corrispondenza. Da Parigi, dove risiedeva, manteneva i contatti con
intellettuali sparsi ai quattro angoli del continente, spesso facendo da
tramite in prima persona, come si apprende per esempio dalla
corrispondenza tra Descartes e Hobbes all’inizio degli anni quaranta,
anch’essa riportata nel volume.
Quanto a Isaac Beeckman, era un
uomo di scienza delle Province Unite riformate: calvinista, studioso di
teologia, di medicina, di fisica, di musicologia, ricopriva ruoli di
rilievo nelle università olandesi e da molti suoi contemporanei venne
considerato un filosofo di tutto rispetto, nonostante non abbia lasciato
dietro di sé tracce rilevanti. René Descartes si presentava invece come
un gentilhomme français, discendente della piccola nobiltà di toga che
ad un certo punto scelse di lasciare la Francia e ritirarsi, lui
cattolico, nell’Olanda calvinista che gli avrebbe garantito quiete,
libertà e distanza da tutto ciò che lo distoglieva dalle attività a cui
voleva consacrare la propria esistenza: lo studio, la ricerca, la
scoperta, la filosofia, la scienza.
Nei trent’anni coperti
dall’epistolario i temi che ritornano sono spesso trattati in maniera
frammentaria o discontinua: vi si trovano questioni di algebra, di
geometria analitica, di ottica, di meccanica, di astronomia, di
fisiologia, di musicologia; l’Index rerum che i curatori redigono
costituisce una guida importante per chi voglia seguire gli sviluppi dei
diversi problemi che i tre autori trattano. Ma quel che è fondamentale,
intanto, è capire come Descartes, Beeckman e Mersenne in buona parte,
anche se non del tutto, affrontino problemi scientifici a partire
dall’ordinario: si arrovellano e discutono di campane, candele, liquidi
nei bicchieri, corde, fionde, specchi, rane, balestre, flauti, canne
d’organo, lenti, pietre, leve, tubi.
Le esperienze che si
scambiano sono semplici, comuni alla vita quotidiana, ma a partire da
queste affrontano problemi come la determinazione della forza di
gravità, della natura della luce, della massa, della velocità e
dell’accelerazione. Si occupano di magnetismo, della propagazione dei
suoni e della loro percezione, dell’armonia musicale e della sua
traducibilità in termini matematici, della circolazione sanguigna. La
scienza moderna nasceva dunque fuori dai laboratori, da esperimenti che
potremmo riprodurre nelle nostre cucine, ma a compierli erano
osservatori portentosi, uomini curiosi che si sentivano investiti del
compito di comprendere perché le cose stessero come stavano, e a una
straordinaria capacità di osservazione e di problematizzazione
dell’ordinario coniugavano la descrizione, nella forma più semplice e
più diretta possibile, degli elementi fondamentali dei fenomeni
esaminati. Il linguaggio matematico diventava la lingua universale del
sapere finalizzato a cogliere il funzionamento della natura.
Per
Descartes la verità è stabilita da Dio, dipende interamente da lui e le
verità eterne sono innate nell’essere umano. «L’esistenza di Dio,
infatti, è la prima e la più eterna di tutte le verità che possono
essere e la sola da cui procedano tutte le altre», scrive a Mersenne il 6
maggio del 1630. Ma il Dio che Descartes difende nel proprio sistema
filosofico non è il Dio della teologia morale. Quando Mersenne lo
incalza sulla dannazione eterna risponde che la questione «è teologica;
perciò, vi prego assolutamente di consentirmi di non dirne nulla».
Dio
è garanzia epistemologica, fondamento della conoscibilità del reale. E
quando, pubblicate le Meditazioni metafisiche nel 1640, sostiene che lo
scopo della sua metafisica è «far intendere quali sono le cose che è
possibile concepire distintamente», diventa evidente che la riflessione
sistematica cartesiana non è semplicemente il razionalismo radicale di
un cattolico osservante, ma una teoria della conoscenza che si fonda
sulla capacità dell’uomo di pensare e sulla pensabilità del reale.
Sia
quando si inerpica sulle vette della dimostrazione dell’esistenza di
Dio, sia quando seziona l’occhio di un bue, o osserva i differenti modi
di rimbalzare di palle di lana, di metallo, di legno, l’epistemologia di
Descartes emerge in queste lettere come un progetto titanico di
comprensione della realtà.