il manifesto Alias 22.5.16
Una mantide di nome Wislawa Szymborska
Casuali
solo in apparenza, le "letture facoltative" della autrice rispondono a
una selezione spietata e idiosincratica, coerente con la sua produzione
in versi: «Come vivere in modo più confortevole», da Adelphi
di Andrea Ceccherelli
Ci
sono autori che attingono l’ispirazione da una vita ricca di avventure e
di emozioni. Altri che la cercano tra polverosi scaffali ricolmi di
opere bizzarre ed erudite. La riservata poetessa di Cracovia, premiata
nel 1996 con un Nobel che scherzosamente i suoi amici definivano «la
tragedia di Stoccolma» per lo scompiglio che aveva portato nella sua
tranquilla vita, non apparteneva certamente né al primo, né al secondo
tipo.
Eppure, sfogliando Come vivere in modo più confortevole
Altre «Letture facoltative» (a cura di Luca Bernardini, traduzione di
Valentina Parisi, Adelphi, pp. 258, euro 14,00), viene da pensare che
non ci sia stato, forse, scrittore più «libresco» di lei, benché in un
senso assai diverso dall’accezione comune, deteriore, del termine.
Szymborska viveva in uno spazio letterario misto, una speciale
democrazia dei libri in cui un Abc dell’eleganza maschile, un dizionario
di sigle e abbreviazioni o una biografia di Benny Hill godevano degli
stessi diritti delle Odi di Orazio, dei Saggi di Montaigne e delle
Affinità elettive di Goethe. O dei Diari del suo amato Thomas Mann, che
in una poesia aveva definito con stupita ammirazione come un «mammifero
con la mano prodigiosamente pennuta d’una Waterman».
Le presenti
«altre letture facoltative», come già le Letture facoltative pubblicate
sempre da Adelphi, sempre nella ottima traduzione di Valentina Parisi,
un decennio prima, ce la mostrano appunto come un’infaticabile
cacciatrice di avventure di lettura, raffinata ma non schizzinosa, un
homo ludens che si dilettava in egual modo di frequentazioni letterarie
highbrow e lowbrow, spinta unicamente dalla passione per «il più bel
passatempo escogitato dall’umanità».
Lo dimostrano anche i
numerosi italica inclusi nella raccolta: si va da una biografia di
Paganini alle antiche novelle italiane, da una monografia su Bona Sforza
alle memorie di Marcello Mastroianni e di Beniamino Gigli, passando per
Casanova, Stradivari, un «libriccino sciocco ma onesto» di Laura
Lorenzo sul potere curativo delle pietre ornamentali e Cagliostro
raccontato da Roberto Gervaso. «Non ricordo di aver mai scartato i libri
peggiori a favore dei migliori, e lo si vede ancora oggi» – dichiarava
all’amica e critica Teresa Walas.
«Scrivo le Letture facoltative
perché ritengo che perfino il libro peggiore in assoluto possa aiutare a
riflettere in un modo o in un altro: magari perché è pessimo, o magari
perché il tema sarebbe anche interessante, ma è venuto male. Nella mia
vita di lettrice c’è sempre stata una gran confusione». Ed è di Walas la
sagace definizione, ripresa da Luca Bernardini nella postfazione,
dell’autrice come «mantide» all’interno di un’immaginaria tipologia dei
lettori: come la mantide si accoppia con il maschio e poi lo divora,
così anche del libro con il quale la poetessa si «accoppia» per
fecondare la propria intelligenza non rimane spesso altro se non ciò che
lei stessa ne ha scritto nei suoi elzeviri: «Mi interessano i libri di
scienze naturali, di storia, di antropologia. Leggo i dizionari
enciclopedici, i manuali, le monografie. Una volta mi prendo un libro
sulle farfalle o sulle libellule, un’altra volta un manuale su come
rimbiancare casa, un’altra volta ancora scelgo un manuale scolastico»
precisava in una delle sue prime e rare interviste.
E quando le
veniva chiesto come mai, anziché scrivere di letteratura come fanno in
genere gli autori seri, prestasse la sua penna a scrivere di opere
divulgative, rispondeva: «Le pubblicazioni di questo tipo non finiscono
mai né bene né male, ed è soprattutto per questo che mi piacciono».
I
testi da cui prendono le mosse questi suoi elzeviri – simil-recensioni
di un unico capoverso dedicate a libri normalmente trascurati dai
recensori di professione, che la poetessa iniziò a scrivere nel 1967
quando, per motivi politici, fu degradata a semplice collaboratrice
della rivista di cui dirigeva da un quindicennio la sezione di poesia –
sono però casuali solo in apparenza: in realtà rispondono a un
meccanismo di selezione spietato e tutto soggettivo, e non è un caso che
proprio alle «Letture facoltative» le sue biografe Anna Bikont e Joanna
Szczesna abbiano attinto a piene mani per descriverne gusti, opinioni,
abitudini.
Szymborska «nei suoi elzeviri, così come nelle sue
poesie, si schiera dalla parte delle cose perdute e trascurate», notava
il critico Tadeusz Nyczek; elzeviri e poesie che, al lettore che ben
conosca queste ultime, appariranno collegati gli uni alle altre da fitte
trame intertestuali, che si muovono peraltro lungo una direzionalità
non univoca, tale per cui talvolta la «lettura» precede la poesia sullo
stesso argomento, come nel caso di quelle ispirate a Ella Fitzgerald o a
Jan Vermeer, talaltra la segue, come nel caso di quelle sul fenomeno
del terrorismo. E al di là dei fili che legano testo a testo, la cosa
forse ancora più interessante è che nelle «letture» ritroviamo
determinate caratteristiche della scrittura poetica szymborskiana,
determinati atteggiamenti e temi dei suoi versi.
«Letture» e versi
rappresentano un qualcosa di molto coerente, non di separato.
Ritroviamo per esempio nelle «letture» la stessa ironia che si scaglia
contro le ideologie astratte, contro la sicumera dell’uomo impegnato
sulla via del progresso a progettare e costruire la civiltà, che
denuncia il legame fra principi ideali e distruzione. Troviamo insomma
l’ironia e lo scetticismo verso le Idee – fossero anche politically
correct come il femminismo o il vegetarismo – della migliore poesia di
Szymborska, quella «pensosa leggerezza» che era la formula nella quale
Pietro Marchesani racchiudeva la cifra della poesia szymborskiana.
E
molti sono i brani semplicemente divertenti, «uno spasso», come le
considerazioni di «fisiognomica letteraria» ispirate dall’apparato di
illustrazioni di un Piccolo dizionario degli scrittori di tutto il
mondo: «Balzac sembra un oste, Joyce il contabile di un’impresa di pompe
funebri, Eliot il direttore di una clinica psichiatrica…Goethe
assomiglia come una goccia d’acqua a mia nonna…Assolutamente fuori
concorso è invece Ibsen, che pare l’allucinazione di un barbiere in
preda alle febbri terzane».
Una delle prime «letture facoltative»
che Szymborska ha scritto terminava con la pointe seguente, dov’era
racchiuso scherzosamente il suo ideale di libro: «Ecco un libro che vale
la pena di leggere prima di addormentarsi. È abbastanza interessante
per distrarre il pensiero dai crucci del presente, ma sufficientemente
soporifero perché scivoli di mano al momento opportuno». Mentre Chopin
sofferente e ormai moribondo che non si lamenta mai e persino
nell’ultima lettera alla sorella si sforza di assumere un tono frivolo –
«Il mio capriccio oggi è di vedervi qui…» – per invitarla ad accorrere
al suo capezzale ricorda tanto l’ultima poesiola scherzosa di
Szymborska, composta poco prima di morire: «Gli olandesi sono un popolo
saggio (perché sanno cosa occorre fare / quando s’affievolisce il
naturale respiraggio».
Nel frattempo in Polonia è uscita la
raccolta completa delle oltre cinquecento «Letture facoltative» scritte
dalla poetessa tra il 1967 al 2002. Ci sono ancora tanti piccoli
capolavori di intelligenza e spirito che attendono di essere conosciuti
dal lettore italiano.