il manifesto 25.5.16
Netanyahu vuole solo negoziati bilaterali, i palestinesi rifiutano
Iniziativa
francese. Il premier dell'Anp Hamdallah respinge la proposta di un
incontro tra Netanyahu e Abu Mazen in alternativa alla conferenza che
sta organizzando la Francia per rilanciare le trattative
israelo-palestinesi. Intanto l'egiziano al Sisi lancia la sua iniziativa
diplomatica parallela
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
È una disputa che non interessa ai cittadini israeliani e men che meno a
quelli palestinesi che neppure riescono ad immaginare il successo di
una trattativa con il governo di destra guidato Netanyahu, nel quale sta
per fare ingresso un altro ultranazionalista, Avigdor Lieberman, in
qualità di ministro della difesa. Comunque sia i leader politici delle
due parti – nel caso dei palestinesi ci riferiamo all’esecutivo dell’Anp
a Ramallah – sono impegnati da qualche giorno nella battaglia
diplomatica innescata dall’iniziativa francese che prevede un summit di
ministri degli esteri di vari Paesi sulla questione israelo-palestinese,
ma senza israeliani e palestinesi, che dovrebbe tenersi il 3 giugno a
Parigi, in preparazione di una conferenza internazionale da organizzare
in autunno, stavolta con la presenza dei rappresentanti delle due parti
in conflitto. Netanyahu ha respinto la proposta della Francia volta a
rilanciare la trattativa mediorientale. Al primo ministro francese
Manuel Valls, che ha fatto la navetta tra Gerusalemme e Ramallah, ha
detto di essere pronto soltanto ad incontrare il presidente palestinese
Abu Mazen in Francia. «La pace – ha proclamato Netanyahu – non si
raggiunge con delle conferenze internazionali come quelle dell’Onu. Né
si ottiene attraverso diktat internazionali o con comitati dei paesi del
mondo che si siedono e cercano di decidere il nostro destino e la
nostra sicurezza».
I palestinesi hanno risposto picche, coscienti
che solo spostando il negoziato su di un piano multilaterale, quindi
internazionale, si può tentare di rimediare al fallimento totale dei
colloqui bilaterali, “mediati” dagli Usa, imposti da Israele negli
ultimi 23 anni, dalla firma degli Accordi di Oslo in poi. Anche il quel
caso però le possibilità di successo sarebbero nulle in assenza di una
volontà del governo Netanyahu di arrivare un accordo sulla base delle
risoluzioni internazionali e non soltanto delle «esigenze di sicurezza»
di Israele. Senza dimenticare il ruolo degli Stati Uniti che si
proclamano neutrali ma in realtà sono schierati con le ragioni degli
alleati israeliani. Alla soluzione dei “Due Stati”, Israele e Palestina,
in verità non crede più nessuno già da alcuni anni di fronte alla
costituzione di fatto di ristretti cantoni palestinesi in Cisgiordania
frutto della colonizzazione israeliana, della confisca di terre e
risorse naturali, della costruzione di strade tra Israele e le colonie e
dell’insediamento di popolazione ebraica nel territorio dello “Stato di
Palestina”.
«È solo un tentativo per guadagnare tempo, Netanyahu
sta cercando di guadagnare tempo…ma questa volta non sfuggirà la
comunità internazionale», ha avvertito ieri il primo ministro
palestinese Rami Hamdallah dopo l’incontro avuto a Ramallah con Valls.
Netanyahu, ha aggiunto, sta cercando di spostare l’attenzione
dall’incontro di Parigi e di trasformare il conflitto in uno scontro tra
religioni. «Sono 20 anni che discutiamo con gli israeliani senza
risultato», ha spiegato Hamdallah. Valls da parte sua ha ribadito che la
Francia «è ostinata a raggiungere la pace. E non può più accettare
l’immobilismo e lo status quo». Il primo ministro francese ha quindi
detto di essere a «favore di negoziati diretti» tra israeliani e
palestinesi ma – ha aggiunto – «questi non sembrano essere
all’orizzonte». Valls ha evitato di sottolineare le differenze tra
Parigi e Tel Aviv precisando che la Francia non vuole imporre una
soluzione del conflitto che solo le due parti devono raggiungere. Nei
giorni scorsi Valls si era definito un amico di Israele e dichiarato che
la sicurezza dello Stato ebraico deve essere garantita. Ma ha anche
criticato la costruzione di insediamenti colonici nella Cisgiordania
occupata.
All’interno del solco tracciato dall’iniziativa francese
si è inserita una variabile tutta da interpretare: la mossa di Abdel
Fattah al Sisi. Con l’obiettivo di rilanciare i negoziati
israelo-palestinesi, il presidente egiziano starebbe tastando il terreno
per organizzare un incontro al Cairo tra Abu Mazen e Netanyahu. Una
domanda sorge spontanea. Questa “iniziativa egiziana”, così la definiva
ieri il quotidiano israeliano Yediot Ahnonot, è a sostegno di quella di
Parigi oppure è stata messa in campo per appoggiare la tesi di
Netanyahu, ossia che il negoziato deve avere un carattere solo
bilaterale e non essere condizionato da «imposizioni straniere»? Non è
peraltro escluso che al Sisi sia soltanto facendo un po’ di fumo per
dare maggior peso internazionale a un Egitto finito al centro
dell’attenzione, non solo dell’Italia, dopo l’assassinio di Giulio
Regeni attribuito da più parti ai servizi di sicurezza egiziani, e per
la repressione feroce delle proteste popolari seguite alla cessione
(“restituzione”, secondo la posizione ufficiale) all’Arabia saudita
delle isolette del Mar Rosso, Tiran e Sanafir.
Sullo sfondo di
questi intrecci diplomatici c’è sempre l’occupazione militare israeliana
di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est giunta al suo 49esimo
“compleanno” e che, credono tanti palestinesi, non avrà fine per merito
della conferenza che Parigi sta provando ad organizzare.