il manifesto 25.5.16
In video a oltranza
Ri-Mediamo. La rubrica settimanale di Vincenzo Vita
di Vincenzo Vita
L’ora
x è scattata. La tendenza all’occupazione mediatica da parte del
governo in vista del referendum sulla Costituzione è diventata una
pratica normale. Come nel liberismo selvaggio, dove la legge è piegata
agli interessi dei potenti, anche nell’universo dell’informazione sta
avvenendo uno scontro da film western, Bmovie naturalmente.
L’ascia
di guerra è stata dissotterrata nella trasmissione «In mezz’ora» della
scorsa domenica dalla ministra Boschi, che ha attaccato l’Anpi e urlato
le parole d’ordine che sentiremo nei prossimi mesi. Le ragioni del Sì al
referendum. Ma senza contraddittorio e neppure potendo un
rappresentante dell’esecutivo partecipare in periodo di stretta par
condicio ad una trasmissione televisiva, non ravvisandosi un motivo di
tale urgenza da permettere un’eccezione. Renzi, a sua volta, sta
tambureggiando quotidianamente, sempre e senza contraddittorio.
Si
dice che per la par condicio referendaria siamo ancora lontani dal
tempo protetto e, quindi, campagna a go go. Anzi, la legge è aggirata
due volte, visto che il battage è utilizzato, ovviamente, anche per il
prossimo voto amministrativo. Se si leggono in sequenza le norme del
Testo unico della radiodiffusione del 2005, le disposizioni generali
della legge 28 del 2000, nonché le apposite delibere in materia
dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni della consiliatura
precedente (2011) si evince che l’equilibrio tra le due posizioni – Sì e
No- deve essere un obbligo permanente e non relegato alle maglie certo
di maggior rigore del rush finale. Il comitato referendario ha scritto
un esposto circostanziato, firmato dal presidente Alessandro Pace,
all’Agcom.
Quest’ultima ne discuterà in queste ore. Sarebbe il
minimo, visto lo sconquasso in corso e letti i dati pubblicati dalla
stessa autorità, inerenti al «tempo di antenna» dei diversi soggetti dal
9 al 15 maggio. Siamo oltre il 44% se sommiamo partito democratico e
governo sulla Rai, e circa altrettanto su Mediaset. Così su La7 e, in
modo persino clamoroso, su Sky, dove si tocca il 50%. L’Agcom dia un
segno di vita, essendo nata proprio per tutelare l’articolo 21 della
Costituzione. Così fu pensata nella scrittura della legge 249 del 1997
che la istituì.
Se non risponde agli obblighi di legge è bene che
si sciolga per conclamata insufficienza. Non è una polemica, bensì una
constatazione, avrebbe detto Montanelli. Ci si può legittimamente
attendere qualche aspra sanzione. E servono tanto riequilibri concreti
per recuperare le violazioni, quanto un immediato indirizzo sul tema
referendario. Se è vero che si tratta di una scadenza caricata di
significato politico, ecco allora emergere in tutta la sua drammatica
urgenza la questione del pluralismo.
Vedremo ciò che sarà
stabilito, ma è matura un’ulteriore iniziativa rivolta ai presidenti di
camera e senato: il parlamento da cui l’Agcom trae origine.
Il
presidente della commissione parlamentare di vigilanza Fico ha criticato
la Rai. Bene. La commissione, però, è l’altro polo della
responsabilità, su quella parte pubblica che è concessionaria dello
stato proprio nella misura in cui dà voce alle varie componenti della
società.
Tra l’altro, è in corso la consultazione promossa dal governo in vista del rinnovo dell’atto di concessione.
Alle
36 domande rivolte ai cittadini ne andrebbe aggiunta una sul rispetto
delle opinioni e sul racconto della realtà. Una domanda (la numero 15)
parla del senso di identità nazionale. 15 bis: ma si vuole un paese
democratico o uno dominato dal peronismo elettronico?