mercoledì 25 maggio 2016

il manifesto 25.5.16
L’Anpi: ancora più impegno per il No
La risposta dell’associazione nazionale partigiani agli attacchi del governo. Mentre i toni aggressivi del presidente del Consiglio cominciano a stancare. Renzi adesso fa l’elenco dei "veri" professori. E annuncia che arriverà a mille. Ma conteggia tra i giuristi anche gli storici, gli economisti, i sociologi e i filosofi
di A. Fab.

Dopo i partigiani, si è aperta la caccia ai “veri” professori. «Arriveremo a mille», annuncia il presidente del Consiglio, in campagna elettorale permanente. Mentre il presidente del senato Grasso ricorda che «ottobre è lontano e non si può continuare con questi toni alti che rischiano di dilaniare il paese». Ma la tattica di Matteo Renzi è proprio questa: fare le liste, dividere. Di netto: con il Sì «la semplicità», ha ripetuto ancora ieri. E con il No «gli inciuci».
Il tono è lo stesso anche quando torna sulla lista degli accademici – molti ricercatori e professori associati – che hanno firmato l’appello per il Sì. «Sono 184 professori di diritto», dice il presidente del Consiglio a Repubblica, nello stesso intervento in cui annuncia che presto si moltiplicheranno per cinque e più. «Poi passiamo agli economisti», anticipa al Corriere della Sera. Eppure la lista al suo apparire, lunedì, aveva colpito esattamente perché non contiene solo nomi di costituzionalisti, come negli appelli per il No (nell’ultimo c’erano undici ex presidenti della Corte costituzionale). E nemmeno tutti giuristi: l’errore di Renzi è troppo clamoroso per non essere un falso intenzionale. Alcuni dei nomi presenti sono celebri commentatori dei giornali italiani, il politologo Angelo Panebianco, gli economisti Marcello Messori e Guido Tabellini, lo storico Paolo Pombeni. Sono i nomi più in vista in un elenco dove compaiono anche molti costituzionalisti, insieme a sociologi e filosofi. Tutti si esprimono sulla riforma costituzionale, e cioè è naturalmente legittimo, così come lo è dubitare che un ricercatore di storia economica sia un critico più attento della riforma costituzionale rispetto ai maestri del diritto costituzionale che hanno firmato gli appelli per il No. Allora il presidente del Consiglio sposta la sfida sui numeri: loro non arrivano a cento, noi arriveremo a mille.
È la stessa logica che ha guidato l’attacco all’Anpi. Per palazzo Chigi trovare l’Associazione nazionale partigiani schierata per il No è stata una pessima sorpresa. La reazione, studiata dai comunicatori, è stata allora affidata alla ministra Boschi. Prima il parallelo tra i contestatori della riforma e i fascisti di Casapound. Al quale i componenti dei comitati hanno reagito scandalizzati, facendo notare che con loro c’è l’Anpi. Mossa prevista: ecco la ministra immediatamente spiegare che i «veri partigiani» stanno con il governo. Le frenate successive di Renzi fanno parte del gioco, ora che il messaggio è passato. I partigiani – è la lezione del governo – non stanno con il No, sono invece divisi. Sono un po’ con il Sì e un po’ con il No. Ed è finito in secondo piano il fatto che l’Associazione che li rappresenta da settant’anni ha deciso con due passaggi formali e due votazioni di schierarsi per il No. La prima volta a gennaio, con venti voti a favore e tre astensioni, nel comitato nazionale. La seconda nel congresso nazionale a metà maggio, dove i voti a favore sono stati 300 e le astensioni tre. Interessante che mentre si sta dando da fare alla camera per attuare l’articolo 49 della Costituzione, e assicurare il metodo democratico nella vita interna dei partiti, il Pd neghi il valore delle decisioni prese da un’associazione nel rispetto delle sue regole e del voto.
L’Anpi ieri ha tenuto un nuovo comitato nazionale, e ha deciso di rispondere «intensificando la campagna per il No alla riforma» ma anche la raccolta delle firme per i due referendum abrogativi della legge elettorale. Non solo. L’associazione dei partigiani respinge i «vergognosi avvicinamenti a organizzazioni di stampo fascista» e «il tentativo di discriminare tra partigiani». E conclude con un richiamo all’informazione: «Invitiamo la stampa a dar conto di tutte le posizioni senza preferenze e distinzione, aprendo spazi adeguati anche ai sostenitori del No». La richiesta è anche per il garante delle comunicazioni, perché «faccia il possibile per garantire che l’informazione sia ampia ed equilibrata». Ma il periodo di par condicio è lontanissimo, non c’è neanche la data del referendum (previsto a ottobre), dunque le scorrerie del governo e del Pd sono inarrestabili.
E mentre Renzi ripeteva che chi vota No lo fa solo per conservare una poltrona, anche la minoranza Pd è tornata a criticarlo. Pierluigi Bersani ha detto che «non possiamo andare avanti con questi toni per cinque mesi, così io non ci sto». Un modo per spiegare la decisione di tirarsi fuori dalla campagna referendaria, al quale è seguito un nuovo invito a modificare la legge elettorale Italicum (richiesta che Renzi ha già respinto) e a presentare la legge per l’elezione dei consiglieri regionali-senatori (richiesta di difficile realizzazione pratica e che Renzi ha accolto, ma rinviato a dopo il referendum). A Bersani non è piaciuto l’arruolamento di Berlinguer, Ingrao e Iotti tra i favorevoli alla riforma, tentato dal gruppo dirigente del Pd. E ha scherzato: «A questo punto possono metterci anche Lenin. Diceva “tutto il potere al Soviet”. Più monocameralismo di così».