il manifesto 24.5.16
Austria da non credere
Van der Bellen. Una bella sorpresa dalla vecchia Europa
di Lidia Menapace
Sa
il cielo se abbiamo bisogno di buone notizie, così tanto che quando
arrivano si tende a non crederci. Invece è successo: dopo che l’estrema
destra in crescita da tempo aveva stravinto il primo turno delle
politiche, sembrava che si dovesse aggiungere l’Austria al novero dei
paesi che in Europa virano verso la destra estrema, sia i democratici
paesi del Nordeuropa sia i paesi dell’ex blocco sovietico. C’è ben poco
di allegro, la situazione spinge ad abbandonare l’Europa a un destino
regressivo verso le nazionalità, merce pericolosa che tende a degenerare
in nazionalismo, localismo egoistico, razzismo.
I politologi
faranno analisi più sofisticate analizzando i flussi elettorali
impazziti e le giravolte di massa avvenute in poche settimane, ma noi
intanto ci freghiamo le mani, tiriamo un sospiro di sollievo: e
lasciateci essere per un momento umani e umane, prima di rimetterci la
corazza austera e neutrale degli osservatori “scientifici” che non ci
azzeccano mai.
Qualcosa deve essersi guastato negli strumenti
conoscitivi dei quali ci serviamo, non ci avvisano per tempo, non ci
indicano la direzione, non prevedono né sviluppi né cadute e dopo
ricominciano a fare conti calcoli e sondaggi.
Credo che il
pasticcio politico nel quale stiamo dipenda in parte notevole dal fatto
che quasi non c’è più la cultura politica, ma sondaggi e statistiche
molto simili a quelle che servono ai mercati su che cosa vende e che
cosa comprare.
La prima conclusione è che la cultura non è una
merce e non si lascia per sempre vendere e comprare. E la prima
conclusione attiva è che nella vecchia Europa girano semiclandestine a
voce bassa, un po’ tristi e un po’ speranzose, un po’ avvilite e un po’
rivendicative cose avanzate dalle culture che poco tempo fa ancora la
governavano, la mettevano in riga, segnavano i margini delle strade.
La
bella sorpresa austriaca dunque ci dice che periodizzare col termine
modernità giova poco e che spinge alla superficialità violenta del
mercato.
Non si tratta di riproporre il catechismo marxista e la
rigidità del passato, però qualche ripasso contro l’ignoranza che
cancella la memoria e azzera le lezioni della storia, se ce la facciamo,
seno anche solo la cronaca.
Ad esempi Hollande non è molto
credibile come uomo di sinistra limpida e contro il suo governo le lotte
riprendono e durano, la situazione in Spagna è in movimento, la Grecia
ripercorre testardamente il suo momento di epifania (rivelazione) e ci
avverte che privato Pericle lo chiamava idiotes, cioè idiota e che il
linguaggio pesa, le parole sono pietre diceva giustamente Primo Levi.
Conclusione
(provvisoria): abbiamo perso, ci siamo lasciate derubare di una
preziosa stagione prerivoluzionaria nel mitico ’68. Vi pare che possiamo
ripetere quella enorme sciocchezza? Sarebbe da vergognarsi. Proviamo
allora, almeno proviamo.