il manifesto 24.5.16
Se Renzi alza la bandiera del Pci
Riforme. Propaganda Sì, ma di infimo ordine
di Alberto Burgio
Se
il buon giorno si vede dal mattino, l’avvio della campagna referendaria
lascia prevedere cinque mesi di violenza verbale, di forzature,
menzogne e abusi di potere di cui proprio non si sentiva il bisogno.
Non
si era ancora spenta l’eco dei nuovi editti bulgari all’indirizzo di
giornalisti non ossequiosi, che è scoppiata quest’altra penosa grana.
Enrico Berlinguer, Pietro Ingrao e Nilde Jotti variamente arruolati tra
gli antesignani della «riforma» renziana.
Non certo perché davvero lo si creda, che discorsi. Ma perché può servire, se non altro, a confondere le acque e le carte.
Naturalmente
chi ha a cuore la buona memoria del Pci e dei suoi dirigenti storici ha
subito reagito e puntualizzato. La questione potrebbe con ciò
considerarsi chiusa, almeno in punto di diritto. Ma forse vale la pena
di dedicare qualche minuto a quello che episodi del genere rivelano o
confermano. E, appunto, fanno presagire.
In primo luogo, perché questa scelta, perché queste figure?
È
ovvio che, chiamando in causa emblemi del «vecchio Pci», i
propagandisti del Sì sperano di convincere l’ala sinistra
dell’elettorato democratico, in sofferenza per lo sgangherato
protagonismo renziano e per le politiche padronali del governo, oltre
che per il merito di un pateracchio che minaccia di trasformare la
repubblica parlamentare in un regime iper-presidenzialistico.
Si
dirà: è la logica della propaganda. Vero. Ma c’è propaganda e
propaganda, come c’è argomento e argomento. Questo uso della propaganda
politica è odioso proprio perché, come si diceva, punta a disinformare e
a fuorviare. Odioso, ma anche utile: una misura fedele di che cosa è
diventata la politica oggi, nell’Italia del renzismo trionfante.
Si
fa una cosa di destra, che più di destra non si può. Si pongono le
premesse per una dittatura della premiership sfigurando la Costituzione e
agganciandola a una legge elettorale che consegna i pieni poteri al
Capo del partito di maggioranza relativa (una esigua minoranza del
paese).
Ma al tempo stesso la si camuffa da cosa di sinistra, per raggirare qualche milione di disinformati.
Di
più. Mentre si medita di disegnare le istituzioni della Repubblica in
forme consone allo strapotere delle oligarchie vicine al capo del
governo, si agitano i volti di personaggi della storia repubblicana che
incarnano valori antitetici. Il rispetto delle istituzioni e della cosa
pubblica. La concezione partecipata della democrazia. L’appartenenza
alla storia e alla cultura di quel movimento operaio che si considera
un’anticaglia e un fastidioso residuo del tempo che fu.
Una perfetta vergogna.
Spiace
in tutto questo soprattutto l’abuso dell’icona di Enrico Berlinguer,
chiamata in causa direttamente dal presidente del consiglio, come già
fece qualche tempo fa Veltroni, altro campione dell’americanismo
italiota. Avesse se non altro buon gusto, Renzi non si sarebbe permesso
di scomodare un uomo che mai avrebbe fatto del proprio partito una
macchina da guerra contro il mondo del lavoro e contro il sindacato.
Ma
si capisce, per chi vuole vincere a tutti i costi non è semplice
resistere alla tentazione di sfruttare l’immagine di chi non può
difendersi. Propaganda, sì: ma di infimo ordine. O piuttosto irrisione e
presa in giro. Conforme, del resto, a tutto uno stile di governo.
Veniamo infine ai due argomenti che Renzi si è inventato per dare forza alle proprie esternazioni in giro per l’Italia.
Se
prevale il No, sostiene, vince l’ingovernabilità e trionfano gli
inciuci. Quindi oggi, visto che la bella «riforma» non è ancora in
vigore, l’Italia non sarebbe governata? Per certi versi in effetti è
così, dipende dall’idea che si ha del governo e del buongoverno. Ma
evocare il caos si inscrive a pieno titolo nella categoria del
terrorismo mediatico per la quale valgono le considerazioni precedenti.
Quanto agli inciuci, forse è questa l’unica punta di paradossale verità in questa fiera della mistificazione.
Lui,
che sistematicamente impone alle Camere la propria volontà grazie al
soccorso verdiniano, sembra voler dire – o dire suo malgrado – che
simili mezzi – simili inciuci, appunto – imperverseranno, finché siederà
a Palazzo Chigi, a meno che non gli si consegnino tutte le chiavi del
potere con la sua «riforma».
In altri termini: bisogna «dire sì»,
come ai bei tempi delle adunate oceaniche, giusto per rendere superfluo
lo sconcio al quale siamo costretti ad assistere. Non per «cambiare
verso», solo per dare al Capo la possibilità di fare il bello e il
cattivo tempo.
La morale di questa storia è tutta politica, oltre che morale.
Il
renzismo si riduce a un binomio: strapotere delle lobbies e uso
spregiudicato – compulsivo e mendace – della comunicazione (con la
zelante complicità dei giornali «perbene»).
Per i prossimi mesi
questa miscela tossica minaccia di pervadere la sfera pubblica.
Contrastarla sin d’ora – oltre che prepararsi a bocciare sonoramente la
controriforma della Costituzione – è indispensabile per scongiurare
l’inquinamento irreversibile della politica italiana.