il manifesto 24.5.16
All’Anpi la riforma non piace. E resiste
Riforme.
La scelta del No arriva dopo una discussione lunga e complessa, con un
dibattito vissuto anche nella stagione congressuale. L’aggressione
renziana è segno di difficoltà
di Massimo Villone
Adesso
sappiamo che se vince il no nel referendum costituzionale se ne va
anche la Boschi. Il piatto diventa davvero interessante: due al prezzo
di uno.
Monta la preoccupazione a Palazzo Chigi. Si alzano i toni,
si aggredisce chi non si allinea, si lancia la coscrizione obbligatoria
di sostenitori non si sa quanto convinti. Da ultimo, 70 senatori
scrivono all’Anpi una lettera aperta, affiancandosi alla frase della
Boschi sui «veri partigiani» che votano sì. Non accade certo per caso: è
una strategia di provocazione verso un’associazione che è ad un tempo
un pezzo di storia del paese e un’icona della sinistra, e non prende
ordini da nessuno.
Non sapevamo che ectoplasmi senatoriali fossero
in grado di parlare. In realtà i senatori firmatari sono la prova che
almeno per una parte Renzi ha avuto ragione. Se una rottamazione riesce,
allora andava fatta, perché era meglio comunque liberarsi del fradicio
su cui si è abbattuta. E i 70 senatori ne sono la prova. Come possono
parlare all’Anpi di una democrazia piena ed efficace, quando hanno
approvato una riforma costituzionale e una legge elettorale che la
ridurrebbero a un teatrino di comparse pronte all’omaggio servile? Siamo
lieti che i senatori protagonisti dello scempio siano rottamati e ancor
più per il futuro rottamandi. D’altronde, su quale seguito e consenso
popolare potrebbero più contare?
Ma proprio per questo siamo
contrari al senato di Renzi, che lo vuole riempito di personaggi non
migliori, ed anzi peggiori. Gli è sfuggito, nella foga del discorso a
Bergamo, un richiamo alle mutande verdi comprate con i soldi pubblici.
Peccato non abbia colto l’ironia: secondo la sua riforma proprio gli
acquirenti delle mutande – come tutti ricordano, consiglieri regionali –
sarebbero domani elevati alla dignità del seggio senatoriale. E
avrebbero la copertura delle prerogative parlamentari anche per
l’acquisto delle anzidette mutande.
La politica alla Renzi la
conosciamo ancora prima del voto sulla riforma. È la junk politics – la
politica spazzatura – tipica degli Stati uniti. La vediamo proprio in
questi mesi di primarie per la presidenza. E l’atteggiamento e il
linguaggio di Renzi e dei suoi sostenitori sono un buon esempio di
“trumpismo” all’italiana. La stessa propensione all’invettiva,
all’insulto, alla derisione quando non alla denigrazione
dell’avversario. La stessa avversione per il ragionamento e il pensiero
intelligente.
L’Anpi è giunta a definire l’atteggiamento sulla
riforma e sui referendum attraverso un dibattito lungo e complesso. Un
dibattito che è vissuto anche in una stagione congressuale. Le ragioni
dei favorevoli e dei contrari hanno avuto modo di svolgersi in un
confronto pienamente democratico, e la maggioranza favorevole a
difendere la Costituzione è stata ampia. È confluita in essa la
consapevolezza che un momento storico decisivo per l’Italia si è
trasfuso nella Costituzione, che ha definito e definisce ancora oggi
l’identità del paese, nei suoi elementi essenziali di paese moderno e
democratico. La sgangherata legge Renzi-Boschi, unitamente
all’altrettanto sgangherato Italicum, attacca quella identità. Ed è del
tutto ovvio e naturale che una associazione come l’Anpi, per quel che è e
quel che rappresenta, si schieri a difesa. L’Anpi, non i pochi pezzi di
essa renziani a prescindere.
La frase della Boschi segnala la
rabbia per la disobbedienza di chi si vorrebbe subordinato e servo. Noi
siamo per l’Anpi che decide di resistere, come siamo per i magistrati
che vogliono prendere posizione in difesa della Costituzione. E ancora
siamo per i professori autorevoli che decidono di parlare contro le
cattive riforme, senza farsi intimorire da quelli che si arruolano nelle
truppe del premier nella qualità di giovani di belle speranze. A questi
facciamo comunque i migliori auguri di successo per una brillante
carriera. Ci permettiamo solo un consiglio: studino la vasta letteratura
sulla intrinseca fragilità del potere personale, per dato genetico
destinato a durare poco. Gli ultimi che pensavano di durare mille anni
sono finiti male.
Renzi deve farsene una ragione. C’è un pezzo di
Italia che la sua Costituzione proprio non la vuole. La legge
Renzi-Boschi è il peggior prodotto che decenni di dibattiti abbiano mai
visto, per il banale motivo che il manico non era buono. Si poteva fare
meglio? Certamente, cambiando in profondità ma senza scivolare in una
deriva di potere personale e cerchi magici. Gli atti parlamentari sono
pieni di proposte. Si poteva con soluzioni efficaci e condivise
risparmiare di più e mantenere il senato elettivo, superare il
bicameralismo paritario, rafforzare l’istituzione parlamento, ampliare
la partecipazione democratica, consolidare il sistema di checks and
balances, riequilibrare il rapporto Stato-Regioni. Bastava leggere,
ascoltare, riflettere.
Invece l’arroganza di Renzi ora ricatta e
spacca il paese. E che gli varrebbe vincere il referendum per una
manciata di voti? Ne uscirebbe comunque indebolito lui, e ancor più la
sua costituzione. Per questo è nell’interesse del paese che perda. E se
volesse rimanere in carica dopo la sconfitta del sì, non avremmo nulla
in contrario. Gradiremmo solo che decidesse, da qui a ottobre, se vuole
fare lo statista, o il faccendiere di Palazzo Chigi.