il manifesto 20.5.16
La trasversalità e più fronti di lotta
La
lezione francese - Nuit Debout. Precarietà e libertà di licenziare.
Come in forme più gravi il Jobs act italiano e le leggi di Cameron
di Ignazio Masulli
Il
movimento di massa in atto da quasi due mesi in Francia ha varie cose
da dirci. Com’è noto, il motivo iniziale e principale della protesta è
una legge che riduce ulteriormente i diritti dei lavoratori e ne aumenta
la precarietà. Il punto di maggior contrasto è costituito dalla decisa
spinta che la «Loi Travail» vuol dare alla contrattazione aziendale.
Non
diversamente da quanto è avvenuto in altri paesi europei, in Francia
quest’obbiettivo è stato perseguito anche in passato dal padronato, col
deciso supporto dei governi di destra.
In particolare, la legge
Fillon del 2004 stabiliva la possibilità di accordi aziendali stipulati
in deroga a quanto previsto da quelli nazionali.
Ma, a questo
proposito, occorre tener conto di due fattori. Il primo consiste nel
fatto che il diritto del lavoro in Francia riconosce il principio per
cui un accordo aziendale deve essere più favorevole ai lavoratori di
quanto è previsto dal contratto nazionale di settore. E questo, a sua
volta, non può essere meno favorevole del codice del lavoro. Sicché il
tentativo di dare maggiore potere contrattuale ai datori di lavoro
spostando il negoziato a livello aziendale va contro un principio non
solo consolidato, ma giuridicamente formalizzato.
In secondo
luogo, il tasso di sindacalizzazione, che oltralpe è piuttosto basso,
trova compensazione nel fatto che circa il 90% dei lavoratori è tutelato
dai contratti collettivi. Ed è quindi essenziale resistere su questo
punto.
A questo va aggiunto un altro motivo di resistenza dovuto a
nuove misure che, con il falso obiettivo di favorire l’inserimento nel
mercato del lavoro, obbligano di fatto chi è in difficoltà ad accettare
occupazioni poco appetibili e mal retribuite.
I francesi, che
hanno già sperimentato gli effetti della “Grenelle Insertion” voluta da
Sarkozy nel 2008, sanno bene che le analoghe misure imposte ora dal
governo pseudo-socialista di Valls peggioreranno la competizione al
ribasso nel mercato del lavoro. Ancora una volta, il risultato non può
che essere l’aumento della precarietà.
Come non bastasse, la
precarietà e mercificazione del lavoro, che ha già raggiunto punti
limite, è addirittura generalizzata dal riconoscimento anche formale
della libertà di licenziamento per motivi economici.
Il fatto che
tutti e tre questi punti si riscontrino in forme anche più gravi nel
Jobs Act italiano o negli ulteriori peggioramenti della legislazione sul
lavoro varati da Cameron in Gran Bretagna, ma senza aver provocato
reazioni massicce e persistenti come quelle cui stiamo assistendo in
Francia pone alcuni interrogativi che meritano un’attenta riflessione.
Alla
reazione contro la Loi Travail si sono aggiunti e intrecciati altri
motivi di protesta, a cominciare da quello degli studenti.
Anche
loro contestano le politiche neoliberiste e i tagli allo Stato sociale
che, oltre a sanità e pensioni, tornano a colpire la scuola pubblica. In
secondo luogo, pure in Francia si assiste ad un crescente divario tra i
livelli di formazione raggiunti e le tipologie occupazionali cui è
possibile accedere. Il che si connette con le difficoltà che i giovani
incontrano nella ricerca del primo impiego e la prospettiva sempre più
incombente di doversi adattare a lavori precari e sottoremunerati.
Certo,
anche in altri paesi europei non sono mancati cicli di lotte che hanno
affiancato lavoratori e studenti. Ma non c’è dubbio che in Francia tale
alleanza è stata più persistente e si è riproposta con forza anche in
anni recenti. Non si può dimenticare che proprio la spinta radicale di
giovani e studenti ha costretto il governo di destra di Jean- Pierre
Raffarin a ritirare il suo disegno di legge sul lavoro del 2003. Lo
stesso è accaduto nel 2006, quando la protesta congiunta di studenti,
lavoratori e sindacati ha obbligato il primo ministro Dominique de
Villepin a rinunciare alla proposta di un “contratto di primo impiego”.
Quest’alleanza
si ripropone oggi in nuove forme nel movimento Nuit Debout e si allarga
ulteriormente collegandosi ad altri movimenti ed obiettivi di lotta.
Va
sottolineato che non si tratta di un mero affiancamento di più soggetti
sociali in lotta con obiettivi diversi e che trovano una solidarietà
più o meno congiunturale. Il fatto rilevante consiste
nell’individuazione di un nemico comune da battere. E non v’è esitazione
nel riconoscerlo nei potentati economici, finanziari, tecno-militari e
politici che esercitano uno strapotere senza precedenti nella maniera
più parziale ed irresponsabile.
Si tratta, quindi di una
trasversalità che connette più fronti di lotta. V’è la piena
consapevolezza che le ragioni di crisi economica, malessere sociale,
peggioramento dei sistemi di vita che si percepiscono più da vicino
dipendono dagli stessi interessi e scelte dei gruppi dominanti che
causano disastri ambientali, provocano guerre unilaterali e
avventuriste, chiudono le frontiere a rifugiati e profughi.
È
questa la trasversalità autentica e più significativa. Né si può dire
che la mira è troppo alta. Da un lato, essa è coerente con l’analisi.
Dall’altro, l’esperienza storica c’insegna che non ci si può proporre
obiettivi di cambiamento effettivo, anche a breve, se non iscrivendoli
in una prospettiva di mutamento più ampia e a lungo termine.
L’altro
punto di forza di Nuit Debout consiste nell’auto-organizzazione. Da
essa dipende la capacità di rigenerarsi e di trovare gli elementi di
orientamento e di rotta al proprio interno. Non a caso, v’è il
dichiarato rifiuto di una guida eteronoma e l’attenta difesa della
propria autonomia.
Anche questo secondo aspetto contiene una
sfida. L’auto-organizzazione, infatti, può mostrarsi efficace se si
radica in ragioni profonde e tenaci di resistenza, se si nutre di una
consapevolezza e volontà forte di cambiamento. A tali condizioni
l’auto-organizzazione di un movimento può trovare anche forme nuove di
consolidamento ed espressione politica.
Sono proprio questi due
caratteri, della trasversalità e dell’auto-organizzazione, che
consentono al movimento in atto in Francia di espandersi rapidamente e a
macchia d’olio. Ed è su tali dinamiche e sulla loro capacità di dar
corpo a nuove modalità di coalizione sociale ed azione politica che è
utile riflettere da parte di quanti ritengono possibili risposte
alternative alle tendenze di crisi del tardo capitalismo.