il manifesto 18.5.16
Caro Franceschini, è uno scherzo?
Una gelida circolare mette il bavaglio ai dipendenti.
di Vincenzo Vita
Innanzitutto
un accorato appello, uscito dalla manifestazione dello scorso 7 maggio
«emergenza cultura» con la testimonianza di Maria Vittoria Clarelli, a
lungo direttrice della Galleria nazionale d’arte moderna, nonché
rappresentante di Assotecnici. Si ritiri al senato il pericoloso
emendamento firmato (curiosamente) dal presidente della commissione
cultura Marcucci che prevede l’allungamento del periodo di esecuzione
dell’opera ai fini della sua esportazione legale.
Per capirci, dal
secondo dopoguerra in poi ogni traffico è possibile. Il luogo del
dibattito è la commissione industria e la norma in questione è un nuovo
articolo (n. 53) apposto al disegno di legge 2085 sula concorrenza.
Tanto per dire: possono involarsi i Fontana, i De Chirico, i Burri, e
così via. È un incubo?
In quella mobilitazione, fortemente voluta
dallo storico dell’arte Tomaso Montanari e tenutasi alla presenza di una
cospicua e variegata parte del ministero dei beni e delle attività
culturali, erano presenti (tra le altre) personalità come Salvatore
Settis e Vittorio Emiliani, ma soprattutto storie drammatiche di
emarginazioni e di soprusi. Quello che dovrebbe essere il punto chiave
del lavoro intellettuale è ridotto spesso alla quasi povertà e alla
sofferenza.
Il decreto del presidente del consiglio n. 171 del
2014, e il decreto ministeriale n. 50 del 2016 ridisegnano, infatti, la
struttura del Mibact, negando persino fisionomia autonoma alle
soprintendenze per l’archeologia, il «poliedro» evocato da Bianchi
Bandinelli: il tesoro del bel paese, è ridotto a succursale di
soprintendenze molto allargate (archeologia, belle arti e paesaggio),
comunque dimezzate dalla riforma della pubblica amministrazione della
ministra Madia, che dà il potere alle prefetture.
Bottai avrà
applaudito nella tomba, avendo per di più già ottenuto una insperata
vittoria a tavolino sulle linee architettoniche del ventennio.
Rivalutate a mo’ di sequenza di un nostalgico ritorno al passato.
Che
questo accada con il governo Renzi e non sia successo neppure con
quello di Berlusconi-Fini è un fatto, sul quale riflettere seriamente.
Non solo: basti pensare alla deregolamentazione imposta dallo «Sblocca
Italia», alla faccia della doverosa opera di tutela. E poi, lo schiaffo
alla dignità del lavoro. Proprio nel sacrario della cultura si
sperimentano forme di schiavitù moderna, essendo i giovani vincitori
dello sbandierato concorso costretti a salari da sfruttamento
pre-fordista. Pochi, maledetti e neanche subito, visto che lo stato –
quando paga – lo fa sempre in ritardo.
Il ministro Franceschini ha
preferito il colpo di immagine della gara internazionale per i
direttori dei principali musei, con poca cura per il resto. E neppure è
chiaro che destinazione avranno le risorse (un miliardo per la cultura,
due e mezzo per la ricerca) deliberate con artificiosa spettacolarità il
primo di maggio. La realtà materiale è grave e un ministero mai davvero
nato è divenuto una piramide gerarchizzata a compartimenti stagni.
Fino
alla «terza classe» degli archivi e delle biblioteche, forse settori
considerati un ingombro del passato. Mentre la società della conoscenza
digitale ha bisogno come il pane dei saperi.
Chi ha partecipato
alla manifestazione e al seminario preparatorio del giorno precedente ha
pure rischiato personalmente. Ai vertici del Mibact sta stretto sì
l’articolo 9 della Costituzione ma anche l’articolo 21 sulla libertà di
espressione. Infatti, una gelida circolare mette il bavaglio ai
dipendenti.
Caro Dario, che è successo? È uno scherzo?