il manifesto 13.5.16
Bellocchio, «una tragedia che mi ha molto coinvolto»
Cannes
69. Il regista parla del film «Fai bei sogni», tratto dal libro di
Massimo Gramellini, e presentato alla Quinzaine. «Non mi contrappongo al
punto di vista dell'autore - osserva - ho piuttosto uno sguardo
diverso. Quando si è più giovani si ha bisogno di territori familiari,
ma con la maturità si può individuare una connessione personale anche
con una vicenda molto lontana da noi»
di Giovanna Branca
CANNES
Non è più Massimo Gramellini quello che vediamo sullo schermo, ma il
personaggio di un film. Il film di Marco Bellocchio: Fai bei sogni,
tratto dal romanzo molto autobiografico del giornalista della Stampa. Il
regista spiega che dal momento in cui ha accettato la proposta del
produttore Beppe Caschetto di girare questo film se ne è “assunto tutta
la responsabilità”, anche rivisitando alcuni passaggi della storia
raccontata dal testo.
Tutto parte però dalla scoperta di una
vicinanza: “Nel libro – dice Bellocchio – ho trovato una tragedia umana
che mi ha molto coinvolto”. Le sensibilità alla radice dell’opera
cinematografica e del libro sono distanti: “Ma io non mi contrappongo al
suo punto di vista – osserva – ho piuttosto uno sguardo diverso. Quando
si è più giovani si ha bisogno di territori familiari, ma con la
maturità si può individuare una connessione personale anche con una
vicenda molto lontana da noi”. Anche l’attore che presta il suo volto a
Gramellini, Valerio Mastandrea, la pensa in modo simile: “Non mi ritengo
un attore in grado di interpretare personaggi reali – dice – ma il
fascino di questa storia nasce per me da un approccio bipolare: non
posso essere Gramellini ma allo stesso tempo ho scoperto che la sua
vicenda è molto più vicina a me di quanto pensassi”.
La storia
cioè di un bambino e poi un adulto “piccolo borghese” – dice Bellocchio-
in una cittá, Torino, “che non conosco”, con la storia italiana di
quegli anni che scorre sullo sfondo “appena accennata”. Poi ci sono i
programmi televisivi dell’infanzia di Massimo – “la Carrà, le olimpiadi
di nuoto, Belfagor” – “un magma, un insieme di linguaggi che
caratterizza la forma, lo stile di questo film”, spiega Bellocchio.
Nel
portare sullo schermo un racconto che attraversa i decenni “bisognava
trovare dei punti sintetici”, dei momenti che racchiudessero in sé il
senso profondo delle cose e dello scorrere degli anni: “È difficile
ricreare un tempo così lungo, comporta operare delle scelte e anche
delle sostituzioni”. Come ad esempio l’episodio con Fabrizio Gifuni nei
panni di un affarista di tangentopoli, che nel libro non c’era. O la
rivisitazione dell’esperienza di Gramellini a Sarajevo, in cui si trova a
scattare delle foto opportunistiche di un bambino che gioca ai
videogiochi mentre in cortile c’è il cadavere della madre appena uccisa.
“In quel momento – Dice il regista – capiamo che Massimo ha
completamente dimenticato la tragedia che ha vissuto da piccolo”, e cioè
proprio la morte di sua madre, che pure più avanti ritornerà con
violenza a tormentarlo.
La morte della figura materna riporta
anche ad altri lavori di Marco Bellocchio, come L’ora di religione e
soprattutto I pugni in tasca. Quel film del 1965 e Fai bei sogni,
riflette il regista, rappresentano “i due assoluti” della morte della
madre: “quella buttata giù da un burrone e quella santificata.
Alessandro dei Pugni in tasca uccide una madre cieca, che non lo
ascolta, non gli dà nulla. Tra Massimo e sua mamma c’è invece una
compenetrazione assoluta”.
Bellocchio, a Cannes, rifiuta di
commentare la scelta di non inserire il suo film in concorso ma
piuttosto nella selezione della Quinzaine: “È un discorso molto più
piccolo di quelli che riguardano il film, mi tiro fuori dal gioco. Posso
solo dire che Fai bei sogni uscirà in autunno, e noi faremo tesoro
delle reazioni che riceveremo durante questa esperienza”. Per ora, la
stampa francese lo ha accolto con grande entusiasmo.