il manifesto 13.5.16
Nazismo e Salvini: il nome delle cose
di Paolo Ferrero
Alcuni
mesi fa Salvini mi querelò perché gli diedi del nazista. Avevo scritto
che: «Salvini non è uno sciacallo. Gli sciacalli agiscono per istinto
animale non per calcolo. Salvini al contrario usa i disastri e lo
spaesamento prodotti dal neoliberismo per costruire scientificamente la
guerra tra i poveri e la ricerca di capri espiatori nel diverso. Salvini
non è uno sciacallo ma un nazista, come quelli che all’inizio degli
anni ’30 gridavano al complotto giudaico massonico».
In questi
giorni il Tribunale di Torino ha emesso la sentenza in cui dichiara di
non doversi procedere nei miei confronti perché il fatto non costituisce
reato.
Si tratta di una sentenza importante per più ragioni. In
primo luogo questa sentenza riconosce la legittimità di denunciare come
Salvini sia un nazista in quanto usa argomenti simili a quelli dei
nazisti che all’inizio degli anni ’30 hanno fondato i loro consensi
sulla costruzione della guerra tra i poveri e dei capri espiatori. Non è
una cosa di poco conto. Se «historia magistra vitae», se cioè dalla
storia si può e si deve imparare per non ripetere gli errori già
commessi, troppo spesso le similitudini dei fascisti nostrani – che
normalmente non si definiscono tali – con i movimenti fascisti e nazisti
degli anni venti e trenta del secolo scorso vengono ostacolate da
denunce e querele. Questo inibisce il dibattito politico e non permette
di chiamare le cose con il loro nome e di far risaltare come dietro il
nuovismo di molte destre populiste vi sia una grande quantità di
ciarpame fascista e nazista già visto e purtroppo esperimentato.
In
secondo luogo apre ad un diverso punto di vista sulle esperienze del
fascismo e del nazismo, un punto di vista indispensabile ai fini della
battaglia politica antifascista a livello popolare. In questi anni
abbiamo giustamente denunciato come gli esisti del fascismo e del
nazismo siano stati la guerra, l’olocausto, i campi di concentramento.
Su questo abbiamo costruito un vero e proprio tabù e salvo pochi
invasati non vi sono molti estimatori dei campi di concentramento. I
nazisti e i fascisti nostrani hanno però messo in campo una strategia di
depistaggio che si basa sul non definirsi tali. Varie organizzazioni e
movimenti portatori di ideologie fasciste e naziste, a partire dalla
costruzione sistematica del capro espiatorio – che sia zingaro o
immigrato poco importa – si definiscono ne di destra ne di sinistra.
Questa
politica che ricalca il fascismo e il nazismo allo stato nascente –
weimariano, futurista, bundish, più da freikorps che da parate militari –
non pone al centro i regimi nazisti o fascisti. Pone al centro gli
elementi di «longue duree» – presenti nella cultura popolare – su cui i
fascismi e i nazismi hanno appoggiato la loro politica: il sangue, la
terra, il colore della pelle, la nazione, la religione. Ognuno di questi
elementi viene sfigurato, assolutizzato e proposto – nella drammatica
crisi sociale prodotta dalle politiche neoliberiste – come il punto di
partenza per la difesa degli interessi materiali popolari, di
costruzione di una comunità escludente, di un «noi contro di voi».
È
bene che anche a livello popolare iniziamo a chiamare tutto questo con
il suo nome: fascismo e nazionalsocialismo. Chiamare le cose con il loro
nome è il primo passo per potersi difendere da chi ripropone tesi che
nel passato hanno portato ad una barbarie che l’umanità – con il
contributo determinante dei comunisti e delle comuniste – ha sconfitto.