il manifesto 12.5.16
Psoe, no all’alleanza con Podemos al Senato
Spagna. Madrid blocca la possibilità di allearsi con i «viola» almeno nella seconda camera
di Luca Tancredi Barone
BARCELLONA
L’accordo firmato lunedì notte da Podemos e Izquierda Unida per andare
assieme alle nuove elezioni del 26 giugno ha fatto saltare il quadro
politico spagnolo. Il nervosismo negli altri partiti è palpabile.
L’ultima
tempesta è scoppiata ieri, quando Podemos ha reso noto di aver chiesto,
molto abilmente, ai socialisti di allearsi strategicamente per il
Senato. Per capire questa mossa dei viola bisogna fare un passo
indietro. In virtù della discutibile legge elettorale spagnola, dalla
Transizione a oggi il Partito popolare ha ostentato quasi sempre la
maggioranza assoluta nella camera alta. Stavolta, con meno del 30% dei
voti, è riuscito a ottenere ben 124 seggi su 208 senatori eletti (gli
altri 58 li eleggono le comunità autonome), dato che il riparto viene
fatto su base provinciale (con al massimo 4 senatori per circoscrizione)
– e questo meccanismo avvantaggia moltissimo il partito di maggioranza
relativa. Ora, in circostanze normali la maggioranza popolare al Senato
non conterebbe gran che: la camera alta non ha potere legislativo (al
più può chiedere una seconda lettura non vincolante), ma è
indispensabile per approvare le riforme costituzionali.
Il Psoe è
però ancora scottato dal fallimento dei negoziati – la cui colpa
attribuisce interamente a Podemos – ed è immobilizzato dal terrore che
Podemos e Iu non solo li superino in voti, ma anche in seggi alla
Camera, il che sarebbe il segno di quella che qui già si chiama
«Pasokizzazione» del Psoe, e cioè la futura scomparsa del partito dal
glorioso passato. Per cui Pedro Sánchez ha immediatamente rimandato al
mittente la proposta che, invece, secondo uno schema pubblicato su
alcuni quotidiani ieri, proprio per l’iniquità della legge elettorale,
garantirebbe praticamente l’en plein al Senato. Un risultato storico.
La
motivazione che danno i socialisti è che il «modello territoriale» dei
viola (cioè il referendum di autodeterminazione catalano che, unica
forza a livello nazionale, Podemos e Iu hanno promesso di garantire) è
incompatibile con la loro attuale posizione.
Ma tanto sarebbe
logica questa alleanza tattica che alcuni leader regionali, come il
presidente valenziano Ximo Puig, avevano già praticamente chiuso
l’accordo con i loro alleati di governo. Lo stop da Madrid (che in
passate legislature aveva avallato manovre analoghe) manda tutto
all’aria, ma è anche un segnale molto inquietante: il Psoe non ha
chiarito che vuole fare esattamente dopo il 26J. E ora non ci sono
alibi, perché i numeri degli elettori di ciascun partito più o meno li
conosciamo, e astensionismo a parte, non cambieranno molto: la scelta è
fra un qualche accordo con la sinistra, o con il Pp. Niente giochini con
Ciudadanos. Paradossale poi che il rotondo No di Sánchez arrivi proprio
il giorno che a Barcellona i socialisti annunciavano l’accordo per
entrare nella giunta di Ada Colau.
In tutti i casi, dato che le
liste al senato sono aperte e non vincolate al partito, i socialisti
valenziani propongono di correre ciascuno nella sua lista, ma di dare
indicazioni congiunte agli elettori di votare i candidati di tutte e due
le formazioni. Una soluzione ovviamente meno efficace che stare tutti
nella stessa lista. I baroni socialisti, nonostante l’ottimismo di
facciata, sono pronti a saltare alla giugulare di Sánchez se non
raggiunge di nuovo almeno i 90 seggi alla Camera.