il manifesto 12.5.16
La rinuncia di Fiamma Nirenstein è una sconfitta per Netanyahu
Israele/Territori
Occupati. Il passo indietro della giornalista ed ex parlamentare
italiana, nominata nuovo ambasciatore di Israele a Roma, rappresenta il
fallimento parziale della strategia del primo ministro di imporre alla
comunità internazionale diplomatici con legami stretti con il movimento
dei coloni ebrei in Cisgiordania
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
La rinuncia, forzata, di Fiamma Nirenstein all’incarico di ambasciatore
di Israele a Roma rappresenta una sconfitta, almeno parziale, per la
strategia del premier Netanyahu di imporre alla comunità internazionale
“diplomatici” provenienti dal movimento dei coloni ebrei nei Territori
palestinesi occupati. Ottenere il riconoscimento dei coloni e della
colonizzazione è un impegno ideologico e politico prioritario per il
premier e i suoi ministri. Perchè svolto a spostare la questione della
colonizzazione e dell’occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme
Est dal tavolo della legge internazionale a quello della tradizione
religiosa e della sicurezza nazionale. Nei disegni dell’esecutivo
israeliano, quelli che per decenni sono stati visti dal mondo come
territori occupati militarmente, nei quali costruire uno Stato
indipendente per i palestinesi, dovranno essere riconosciuti, in
particolare dagli occidentali, come aree sulle quali il popolo ebraico
vanta diritti esclusivi, aree ormai irrinunciabili anche per la
sicurezza di Israele. Lo sdoganamento dei coloni e delle colonie è
fondamentale per permettere alla narrazione biblica, religiosa, di
prendere il posto delle risoluzioni internazionali nel dibattito sul
futuro dei Territori occupati.
Questa strategia ha raggiunto dei
risultati ma ha dovuto affrontare anche delle battute di arresto. Un
schiaffo Netanyahu l’ha ricevuto dal Brasile che per mesi, prima
discretamente e poi apertamente, non ha dato il suo gradimento alla
scelta di Dani Dayan, un ex leader dei coloni insediati in Cisgiordania,
come nuovo ambasciatore israeliano a Brasilia. Ai dirigenti brasiliani
non è sfuggito nei mesi scorsi un punto fondamentale: il gradimento alla
nomina di un personaggio come Dani Dayan avrebbe dato appoggio alle
colonie israeliane, illegali per le leggi internazionali. Il governo
Netanyahu ha provato in ogni modo di ottenere il via libera per Dayan.
Quest’ultimo, ad un certo punto, ha chiarito di persona la vera posta in
gioco: «La risposta israeliana alla situazione attuale (il rifiuto dei
brasiliani, ndr) determinerà come verrà designato il Paese ospite del
prossimo ambasciatore proveniente dalla Giudea e Samaria (la
Cisgiordania occupata) o, non sia mai, creerà una situazione per cui
centinaia di migliaia di israeliani saranno esclusi dallo svolgere il
ruolo di ambasciatori a causa del loro luogo di residenza». Se da
Israele siano arrivate in questi mesi le pressioni adeguate su Brasilia
auspicate da Dayan non si è mai saputo ma ad un certo punto il governo
Netanyahu ha dovuto fare retromarcia assegnando a Dayan un incarico di
console nei più compiacenti Stati Uniti.
Diverso il caso di Fiamma
Nirenstein che, nella strategia di Netanyahu, avrebbe dovuto rendere
ancora più profonde le relazioni tra Israele e Italia. Il governo Renzi,
a differenza di Brasile, aveva subito espresso il suo gradimento per la
nomina fatta da Netanyahu senza porsi doverosi interrogativi sul ruolo
di una esponente dell’informazione e della politica che risiede in una
delle colonie israeliane della Cisgiordania (non riconosciute
dall’Italia), che appena qualche anno prima era vicepresidente della
Commissione affari esteri della Camera, quindi al corrente di segreti di
stato italiani, con un figlio che lavora nell’intelligence italiana, e
che sarebbe tornata a Roma con la carica di ambasciatore di un altro
Paese. Invece nulla. Anzi il governo Renzi ha seccamente smentito di
aver chiesto a Israele di riconsiderare la scelta. A giocare contro
Nirenstein sono o sarebbero state le perplessità espresse sin
dall’inizio dai vertici della comunità ebraica e, pare, dello stesso
rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. Ma anche la campagna contraria
svolta dal quotidiano progressista israeliano Haaretz con una serie di
articoli al vetrolio. In uno dei quali si ricorda che nel 1996
Nirenstein, in qualità di inviata in Medio Oriente, aveva scritto in
termini decisamente poco lusinghieri di Sarah Netanyahu, moglie del
premier all’epoca al suo primo mandato. Alla fine, due giorni fa, «per
motivi personali», Nirenstein ha scelto o è stata costretta a farsi da
parte, segnando una nuova sconfitta per la strategia del governo
israeliano degli ambasciatori-coloni