il manifesto 10.5.15
Israele ed emiri nella Nato
L'arte della guerra. La rubrica settimanale di Manlio Dinucci
di Manlio Dinucci
Il
giorno stesso (4 maggio) in cui si è insediato alla Nato il nuovo
Comandante Supremo Alleato in Europa – il generale Usa Curtis
Scaparrotti, nominato come i suoi 17 predecessori dal Presidente degli
Stati Uniti – il Consiglio Nord Atlantico ha annunciato che al quartier
generale della Nato a Bruxelles verrà istituita una Missione ufficiale
israeliana, capeggiata dall’ambasciatore di Israele presso la Ue.
Israele viene così integrato ancora di più nella Nato, alla quale è già
strettamente collegato tramite il «Programma di cooperazione
individuale».
Ratificato dalla Nato il 2 dicembre 2008, tre
settimane prima dell’operazione israeliana «Piombo fuso» a Gaza, esso
comprende tra l’altro la collaborazione tra i servizi di intelligence e
la connessione delle forze israeliane, comprese quelle nucleari, al
sistema elettronico Nato.
Alla Missione ufficiale israeliana
presso la Nato si affiancheranno quelle del regno di Giordania e degli
emirati del Qatar e del Kuwait, «partner molto attivi» che verranno
integrati ancor più nella Nato per meriti acquisiti. La Giordania ospita
basi segrete della Cia nelle quali – documentano il New York Times e
Der Spiegel – sono stati addestrati militanti islamici di Al Qaeda e
dell’Isis per la guerra coperta in Siria e Iraq.
Il Qatar ha
partecipato alla guerra Nato contro la Libia, infiltrando nel 2011 circa
5mila commandos sul suo territorio (come dichiarato a The Guardian
dallo stesso capo di stato maggiore qatariano), quindi a quella contro
la Siria: lo ammette in una intervista al Financial Times l’ex primo
ministro qatariano, Hamad bin Jassim Al Thani, che parla di operazioni
qatariane e saudite di «interferenza» in Siria, con il consenso degli
Stati uniti.
Il Kuwait, tramite l’«Accordo sul transito», permette
alla Nato di creare il suo primo scalo aeroportuale nel Golfo, non solo
per l’invio di forze e materiali militari in Afghanistan, ma anche per
la «cooperazione pratica della Nato col Kuwait e altri partner, come
l’Arabia Saudita». Partner sostenuti dagli Usa nella guerra che fa
strage di civili nello Yemen.
Vi partecipa, con una quindicina di
cacciabombardieri, anche il Kuwait. A cui l’Italia fornisce ora 28
caccia Eurofighter Typhoon di nuova generazione, costruiti dal consorzio
di cui fa parte Finmeccanica insieme a industrie di Gran Bretagna,
Germania e Spagna. Un contratto da 8 miliardi di euro, il più grande mai
firmato da Finmeccanica, nelle cui casse entra circa la metà. È stato
firmato il 5 aprile in Kuwait dal ministro della difesa, Khaled
al-Sabah, e dall’amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti.
Madrina dell’evento la ministra Roberta Pinotti, efficiente piazzista
di armi (vedi la vendita a Israele di 30 caccia M-346 da addestramento
avanzato). Gli Eurofighter Typhoon, che il Kuwait userà per fare stragi
nello Yemen e altrove, possono essere armati anche di bombe nucleari:
quelle in possesso dell’Arabia Saudita (vedi il manifesto del 23
febbraio). All’addestramento degli equipaggi provvede l’Aeronautica
italiana, rafforzando «il fondamentale ruolo di stabilizzazione
regionale svolto dal Kuwait».
Un successo della ministra Pinotti
che, una settimana dopo aver venduto i cacciabombardieri al Kuwait, è
stata insignita dall’Unione Cattolica Stampa Italiana con il Premio
«Napoli Città di Pace 2016».
Alla cerimonia, il cardinale
Crescenzio Sepe ha definito quello della Pinotti «impegno al servizio
della politica come forma più alta d’amore, che mette sempre al centro
la tutela e la dignità della vita umana», proponendo perciò «il cambio
di denominazione del Dicastero della Difesa in quello della Pace». Che
ne pensa papa Francesco?