martedì 24 maggio 2016

Corrriere 24.5.16
Le due anime dell’Anpi
di Olivio Romanini

Quando l’anno scorso, per commemorare il 70esimo anniversario della Liberazione, il ministero della Difesa ha deciso di consegnare ai partigiani ancora in vita una medaglia per ricordare il loro sacrificio per il Paese, si è pensato in un primo momento che di medaglie ne servisse al massimo un migliaio. Ma è bastata una breve indagine nelle varie sezioni dell’Anpi in Italia per scoprire che dei partigiani che dopo l’8 settembre del 1943 avevano preso la strada della collina quelli ancora in vita erano molti di più, circa 6.700 (erano 8 mila un anno prima). Da quel giorno è passato più di un anno e per molti ultranovantenni la vita ha compiuto il suo giro e oggi, nei giorni in cui l’Anpi è lacerata al suo interno dal dibattito sulla riforma costituzionale e sul referendum di ottobre, i partigiani ancora in vita si sono ridotti a cinquemila. Cinquemila su 124 mila iscritti in totale, il 4% di tutta la platea dell’ente morale antifascista. La battaglia nell’Anpi tra quelli schierati per il No alla riforma costituzionale e quelli che in queste ore stanno firmando la petizione per il Sì riguarderà dunque solo in minima parte quelli che hanno lottato per la Liberazione.
Dieci anni fa, al congresso di Chianciano, i vertici dell’Anpi decisero che l’associazione doveva aprirsi ai non partigiani per non estinguersi e così, nel corso degli anni, hanno preso la tessera esponenti vicini alla sinistra di tutte le generazioni. E oggi l’associazione è ormai costituita principalmente da persone che sono venute dopo, che sono nate nell’Italia liberata. L’Emilia è uno dei posti con il più alto numero di partigiani ancora in vita, 121 a Piacenza premiati qualche mese fa, 70 ad Imola. E proprio dall’Emilia è partita qualche settimana fa la rivolta contro la linea decisa dall’Anpi nazionale di dare vita ai comitati per il No per la riforma costituzionale: la prima sezione ribelle è stata quella di Imola guidata da Bruno Solaroli, ex braccio destro del governatore Vasco Errani, poi è toccato alla sezione di Ravenna guidata dal coordinatore regionale dei partigiani d’Emilia, Ivano Artioli. Da lì il virus della ribellione ha contagiato altre realtà, da Pordenone a Trento fino alla provincia di Torino, passando per Bolzano dove il presidente Orfeo Donatini è schierato per il Sì.
I dissenzienti sono stati deferiti alla commissione di garanzia dell’Anpi perché hanno contravvenuto alla linea ufficiale scelta dall’associazione. Ma dopo la notizia del deferimento a Bologna c’è chi ha deciso di portare avanti un’iniziativa ancora più di rottura con la linea ufficiale. Un dirigente del Pd cittadino, iscritto all’Anpi, Gianluigi Amadei, ha raggruppato una trentina di iscritti per rivendicare il proprio diritto non solo di non dare vita ai comitati per il No ma di dare vita a quelli per il Sì e di fare campagna. I trenta hanno firmato una petizione che in pochi giorni ha raccolto 1.400 adesioni, comprese quella del presidente dell’istituto Parri di Bologna, Alberto De Bernardi e di Francesca Cavallaro, sorella del sociologo Achille Ardigò.
La vera battaglia ora si sposterà nei banchetti per raccogliere le firme e nei comitati per il Sì e per il No e alle Feste dell’Unità. Il segretario pd Matteo Renzi ha deciso di estendere ovunque la scelta del Pd emiliano guidato da Paolo Calvano di trasformare le feste in un’arena per promuovere il Sì al referendum. Alle stesse feste, da sempre, c’è anche un banchetto dell’Anpi che ha fatto sapere che se i propri esponenti saranno invitati andranno con i loro banchetti per il No. C’è da scommettere che quando si entrerà ancora più nel vivo il dibattito si farà rovente anche perché attraversa in modo potente tutta la sinistra italiana. Per molti bisogna scegliere se stare da una parte o dall’altra, per qualcuno in modo definitivo. Di sicuro ha scelto da che parte stare Mario Artali, presidente della federazione italiana delle associazioni partigiane (quelle che vengono dalla storia di Giustizia e Libertà): «Io voterò Sì, ma la federazione non si schiera, è una scorrettezza farlo, non siamo un partito politico». Su quella poltrona prima di lui è rimasto seduto Aldo Aniasi e prima ancora, molto prima, Ferruccio Parri .