Corriere1.5.16
Come restituire l’innocenza a quei bambini
di Silvia Vegetti Finzi
D
ifficile per un adulto comprendere le emozioni di bambini, come quelli
del Parco Verde di Caivano che, nonostante l’età anagrafica, tali non
sono e forse non sono mai stati. Con i coetanei hanno condiviso la
condizione infantile caratterizzata dalla dipendenza dai genitori, dalla
mamma in particolare e dagli adulti in generale. Una dipendenza indotta
dall’immaturità e dalla fragilità di ogni nuovo nato, incapace di
sopravvivere e crescere con le proprie forze. Solo l’attaccamento
esclusivo a una persona grande lo può salvare e quella persona è di
solito la mamma, pronta a rispondere con dedizione totale alla sua
richiesta. È da quell’incontro che nasce l’amore più grande, quello che
connette madre e figlio per tutta la vita. Ma, prima dell’amore, un
patto più istintivo dovrebbe garantirgli un minimo di sicurezza e di
speranza. Il bimbo non conosce i suoi diritti e l’accudimento che
l’adulto gli concede è, secondo lui, quello di cui ha bisogno. Ho visto
bimbi disperatamente attaccati a genitori indifferenti, incuranti,
persino sadici, ma per loro unici referenti possibili. Se non si
riconosce questa condizione di assoluta dipendenza non ci si può
spiegare l’accondiscendenza delle piccole vittime, non solo alla
violenza fisica ma all’ingiunzione «mai devi dire». La bimba che,
interrogata dal pm e dalla psicologa, ha rotto quel patto iniziatico, ha
compiuto un gesto di straordinario coraggio, che corrisponde, nella
storia dell’umanità, a un progresso di civiltà. Non solo ha opposto alla
violenza la parola, ma ha scelto la verità contro la falsità, la
testimo-nianza contro l’omertà. Una decisione sofferta che la espone a
un duplice senso di colpa: quello provocato, anche nelle vittime più
innocenti, dal miasma del male e quella che nasce dall’essersi ribellata
alla «morale», non solo della famiglia, ma della società in cui è
cresciuta. Come sopravvivere a un trauma così invasivo e recuperare
l’innocenza violata? Innanzitutto sperimentando un amore vero,
responsabile, protettivo, incoraggiante, capace di riconoscere e
attivare le risorse di una bambina che, pur nelle carenze affettive e
culturali del suo ambiente, ha saputo esprimere una straordinaria
maturità. La verità, anche la più dolorosa, è sempre terapeutica se
viene elaborata dalla mente e condivisa nel dialogo. L’importante è che
lei e le altre bambine non restino sole, che vedano, al di là del buio,
la luce di un mondo diverso, dove si cresce senza paura e senza colpa,
da bambini. Semplicemente.