Corriere 1.5.16
«Un piano Marshall per l’Africa L’Italia e la Grecia lasciate sole»
L’ex segretario generale dell’Onu: chi pensa di fermare i migranti con i muri sta sognando
di Sara Gandolfi
«Speravo
che questa crisi migratoria avrebbe unito l’Europa invece di dividerla.
Non è giusto aspettarsi che l’Italia e la Grecia sopportino da sole il
peso di questi flussi solo perché sono il primo punto di ingresso dei
migranti». L’ex segretario dell’Onu Kofi Annan, 78 anni molto ben
portati, non ha dubbi sulla strada che il Vecchio Continente avrebbe
dovuto intraprendere, da tempo, per dare una risposta a chi bussa alla
nostra porta. «Se ci fosse stata una politica europea comune, se tutti
avessero collaborato, non sarebbe stato difficile per una comunità di
500 milioni di persone assorbire un milione di migranti. E’ solo un
problema di volontà politica e di comprensione».
Invitato in
Italia da Mario Moretti Polegato — «perché l’impresa deve rimanere in
prima linea per sostenere lo sviluppo nelle aree più colpite dalle
guerre e dalle povertà», spiega il patron di Geox — Annan ha colto
l’occasione per offrire un assist alla posizione di Roma.
Lei sostiene che i politici avrebbero dovuto spiegare prima la situazione all’opinione pubblica. Come?
«Non
è facile abbandonare la propria casa, lasciare tutto alle spalle e
partire. La maggior parte dei migranti, in particolari i rifugiati,
fuggono per salvarsi. Gli europei l’hanno vissuto sulla propria pelle,
durante la Seconda guerra mondiale molte porte si aprirono per loro. Ora
tocca agli altri e l’Europa avrebbe dovuto organizzarsi per riceverli.
Ma i visto che i partiti di centro hanno taciuto, perché temevano di
perdere voti, quelli estremisti hanno cominciato a cavalcare la rabbia
della gente».
Rabbia giustificata?
«La gente è arrabbiata e
ha ragione di esserlo. Vede le ineguaglianze, fatica ad arrivare a fine
mese anche nei Paesi industrializzati. E’ facile per un politico
costruire il proprio successo sulla rabbia e molti lo stanno facendo, in
America e non solo. Ma il mondo ha bisogno di politici che costruiscano
soluzioni. La rabbia può dare soddisfazione emotiva ma non offre
soluzioni».
Pensa a Trump?
Kofi Annan sorride amaro.
Cosa ne pensa del «migration compact» proposto dal presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi?
«Non
ho i dettagli ma so per certo che le migrazioni non possono essere
fermate. Dobbiamo trovare un modo per gestirle, che sia utile per il
Paese di origine, di transito e di destinazione finale. E anche
nell’interesse del migrante. Chi pensa di fermare il flusso chiudendo la
porta sta sognando. Noi uomini e donne ci siamo spostati per millenni e
continueremo a farlo, anzi probabilmente sarà anche peggio negli anni a
venire a causa dei cambiamenti climatici. E la comunità internazionale
non è pronta».
Anche lei in passato ha proposto di creare punti di selezione nei Paesi di origine o di transito dei migranti. Funzionerebbe?
«Lavoravo
all’Alto commissariato per i profughi quando è esplosa la crisi dei
boat people, lo screening veniva fatto in Thailandia, in Cambogia… E non
si è verificato il fenomeno che stiamo osservando qui ora. I Paesi
europei stanno iniziando a capire che un controllo congiunto è la strada
giusta, ma non credo abbiano compreso l’importanza della condivisione
degli oneri. Lasciano i Paesi di prima linea, come l’Italia e la Grecia,
da soli».
Gran parte delle persone che arrivano in Italia
dall’Africa sono considerati migranti economici e non rifugiati. Come
dovremmo trattarli?
«Le leggi sono molto chiare. Se hanno diritto
d’asilo entrano, altrimenti vanno mandati indietro. Ma molti africani
fuggono da aree di conflitto, come i nigeriani che scappano dalla follia
di Boko Haram o gli eritrei o i rifugiati del Sahel. Per questo se
riuscissimo a fare i controlli vicino ai luoghi d’origine non avremmo
problemi».
E’ possibile creare centri simili in Libia?
«Sarà difficile, è necessario avere un governo stabile con cui cooperare».
Potrebbe essere utile un Piano Marshall per l’Africa?
«Sì,
un Piano Marshall o comunque un nuovo approccio che aiuti questi Paesi a
svilupparsi economicamente il più velocemente possibile, come avvenne
per l’Europa dopo il 1945. L’Africa è ricca di giovani dinamici che non
hanno lavoro. Se la comunità internazionale cooperasse con i governi
africani per creare le condizioni per fare business, osserveremmo una
drastica riduzione del fenomeno migratorio. Oggi, con la televisione e
Internet, questi giovani vedono come si vive qui, dall’altra parte del
Mediterraneo. L’Europa diventa il loro sogno».
Lei prima citava Boko Haram. E’ possibile dialogare con gruppi estremisti come loro o con Isis o al Shabaab?
«Dobbiamo
trovare la maniera per affrontare questi gruppi. La forza e l’esercito
da soli non bastano. Bisogna trovare il modo per minare l’ideologia e la
capacità di fascinazione di questi movimenti, soprattutto fra i
giovani. Bisogna creare le condizioni, e la mia Fondazione sta lavorando
anche su questo fronte, per far sì che i giovani non vengano tentati
dall’estremismo. Ma una cosa è certa: saranno sconfitti. Il terrorismo
non ha mai vinto. Non è questione di se, ma solo di quando».