domenica 8 maggio 2016

Corriere La Lettura 8.5.16
Il borgo delle famiglie perfette
In un quartiere di Strasburgo l’utopia eugenetica realizzata
Dal 1920 case a coppie giovani e sane. Oggi arrivano gli outsider.
La Cité Ungemach fu voluta da un industriale per i suoi operai. Regole e requisiti ferrei fino agli anni Settanta
di Stefano Montefiori
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Tra la sede della rete tv franco-tedesca Arte e il grande edificio moderno del Parlamento europeo, in mezzo al verde del quartiere Wacken di Strasburgo, c’è una città-giardino di 140 villette tra il rosa e giallo pallido, tutte a due piani, collegate da piccole strade prive del peso della Storia: rue du Jasmin, rue des Jacinthes, e ancora via degli Anemoni, dei Mughetti, del Rosmarino, delle Acacie. È la Cité Ungemach, fondata dopo la Prima guerra mondiale dall’imprenditore alimentare Léon Ungemach che voleva farsi perdonare i profitti straordinari realizzati durante il conflitto.
Nel 1920 Ungemach creò da zero, per i suoi dipendenti, un villaggio ideale vicino al cuore di Strasburgo, città al centro della contesa tra Francia e Germania ma lontano dai tormenti e dai pericoli della modernità. Le villette furono costruite in base a tre modelli, molto simili tra loro ma non del tutto uguali, e ognuna aveva — e ha ancora — un grande giardino. Un lusso inusuale per i piccolo-borghesi e gli operai qualificati ai quali la Cité era destinata: i salariati degli stabilimenti Ungemach potevano vivere in una casa tra 120 e 160 metri quadrati, nel verde, pagando un affitto del 25% più basso rispetto alle altre case popolari di Strasburgo, infinitamente più brutte e inospitali.
Camminando, oggi, lungo viale della Primavera e via delle Fragole si arriva a una stele posta quasi cento anni fa, al momento della fondazione, e ancora intatta: «La Fondazione Giardini Ungemach è destinata ad aiutare giovani famiglie in buona salute desiderose di avere dei bambini e di crescerli in buone condizioni di igiene e moralità».
«Buona salute», «igiene» e «moralità» erano i principi fondanti del villaggio perfetto che divenne subito molto ambito, e al quale si poteva accedere soddisfacendo però criteri molto rigorosi: 1) solo coppie sposate, con il coniuge più anziano che non deve avere oltre 25 anni, con deroga a 30 se ci sono già tre figli o più; 2) gli sposi devono presentare un certificato medico per dimostrare che non sono affetti da alcuna malattia acuta o cronica; 3) la moglie deve dedicarsi completamente alla famiglia e rinunciare quindi a qualsiasi attività professionale al di fuori del focolare domestico; 4) le coppie che entro due anni non mettono al mondo il primo figlio sono invitate ad andarsene.
«Un esperimento natalista ed eugenetico», dice il professor Paul-André Rosental, docente di Storia a Sciences Po a Parigi, che si è imbattuto per caso negli archivi della Cité Ungemach e ne ha tratto l’appassionante saggio Destins de l’eugénisme , uscito qualche settimana fa per la casa editrice Seuil. Si deve a Rosental la riscoperta della Cité Ungemach e del suo carattere di utopia demografico-sociale. Rosental sottolinea che nel 1950 il villaggio è passato, come previsto, al comune di Strasburgo a condizione che le regole fissate dal fondatore continuassero a venire rispettate, cosa che in effetti è accaduta.
Fino agli anni Ottanta, i criteri per l’attribuzione delle villette sono rimasti più o meno gli stessi. Ciò significa che almeno parte delle persone che oggi abitano a prezzi di favore in una delle zone più belle di Strasburgo hanno ottenuto la casa in base a una precisa visione — tradizionalista ed eugenetica — della società, nella quale le coppie non devono presentare tare ereditarie o malattie gravi, si sposano, condividono l’obiettivo di fare almeno tre figli, e la donna non lavora perché sta a casa a badare ai bambini. Più altre clausole relativamente minori, dal divieto di vivere con i nonni in casa e di stendere i panni all’aperto, all’obbligo di curare il giardino rispettando le categorie di fiori consentite. Pena, tra le due guerre, la nota sul registro del temuto Alfred Dachert, il responsabile del villaggio che conduceva severe ispezioni periodiche e minacciava di espellere chi non faceva figli o riceveva la visita di un amico o un famigliare senza averne prima chiesto l’autorizzazione.
In una giornata di sole, passeggiare per la Cité Ungemach è incantevole. Sullo sfondo, tra le villette, sbuca il Parlamento europeo ma il traffico è lontano, l’aria sembrerebbe pura, e nel sentiero che costeggia il canale Aar, tra i roseti, si sente solo il canto degli uccellini. Quindi, impossibile non rivolgere almeno un pensiero alla perfezione irreale del film The Truman Show o anche al più recente The Lobster , dove chi non si sposa è condannato dalla società a trasformarsi in animale. Già prima che il professor Rosental scoprisse gli archivi, qualcosa di vagamente sinistro nella Cité Ungemach era stato colto dal regista Xavier Palud, che l’anno scorso ha ambientato qui la serie fantastica Intrusion , «perché la Cité Ungemach mi ricorda il villaggio del Prigioniero (serie di culto degli anni Sessanta). Pochi chilometri più in là, sull’altra sponda del Reno, la Germania nazista portò l’eugenetica e la biologia come strumento di progresso sociale alle loro conseguenze più spaventose.
Niente che sembri interessare gli abitanti della Cité Ungemach, solo felici di essere cresciuti in un luogo speciale. Gérard Sibon è nato qui 68 anni fa, ha vissuto in una delle villette assieme ai suoi cinque fratelli, e grazie al fatto che i suoi genitori si sono trasferiti altrove ha potuto restare nella stessa casa e crescere anche i suoi figli nella Cité Ungemach.
Ex tecnico elettronico diventato giardiniere dopo la pensione, Sibon accoglie «la Lettura» nella sua villetta e ci mostra i documenti del quartiere e le foto di famiglia, compresa quella che lo vede neonato, interprete di Gesù Bambino nel presepe vivente. «C’erano tanti bambini e giocavamo sempre insieme. Al posto del Parlamento c’era un campo da calcio, avevamo tutto quello che potevamo desiderare. Era tutto organizzato tranne, a scuola, la mensa: non era prevista perché tornavamo a casa per pranzo. Ho avuto un’infanzia privilegiata e tutti noi ne eravamo consapevoli. Nel 1973 sono subentrato nel contratto di mio padre. Il libro di Rosental? Sì, l’ho letto: corretto e interessante. Ma noi eravamo semplicemente contenti del nostro giardino, e io ancora lo sono».
Yves Lagouge, 54 anni, conducente di tram, viene a Ungemach a fare visita ai suoi genitori. Lui è nato e cresciuto qui ma non è riuscito a ottenere la casa una volta diventato adulto, ed è preoccupato per il futuro del quartiere: «Ora non è più come una volta, le villette non vengono più date alle famiglie numerose o alle coppie che vogliono fare figli, ma ai casi sociali. Prima la vita era più tranquilla, tutto era in ordine, adesso le case sono tenute peggio e tempo fa hanno anche bruciato la macchina alla mia vicina. Mi spiace ma l’atmosfera è cambiata, ora ci sono persone di origini e religioni diverse che si rinchiudono in se stesse, si sta perdendo lo spirito aperto di un tempo». Anche nel più giovane Jérôme Schmitt, saldatore ventottenne, prevale la paura di dover dire addio all’epoca d’oro: «Anche mia nonna è cresciuta qui, ci conosciamo tutti ed è stato bellissimo, i genitori seduti sulle scale e noi in giro con le biciclette... Ma i nuovi arrivati non li conosciamo, e non si stanno occupando così bene delle case».
A Parigi, il professor Rosental ci riceve nel suo studio di Sciences Po. Spiega che il libro ha portato alla luce le basi eugeniste della Cité Ungemach «ma ho cercato di non forzare i toni, mostrando semmai che fino agli anni Sessanta le regole in vigore lì erano perfettamente in linea con le politiche demografiche dello Stato francese. Fino al 1965 la formula chiave è “favorire i ceppi sani e fecondi”: la Francia è un Paese natalista che vorrebbe migliorare la quantità e la qualità della sua popolazione».
Nel suo saggio Rosental ricorda il caso di una famiglia che negli anni Settanta fece richiesta al Comune di Strasburgo per una villetta alla Cité Ungemach, spiegando che sarebbe stata la situazione ideale per la loro figlia disabile. Ma proprio per questo, per la presenza della bambina portatrice di handicap, nel 1979 la domanda venne respinta.
«Da allora — dice il professore — abbiamo imparato che tutte le iniziative socio-biologiche sono pericolose. Ma qualcosa resta della filosofia alla base dell’esperimento di Ungemach. Tutto era pensato per eliminare lo stress delle madri, in modo che potessero crescere i migliori figli possibili. Non si trattava solo di scegliere un coniuge sano ma anche di investire nel capitale umano, nei bambini. L’eugenetica si mescola allora con la psicologia dello sviluppo personale: questa idea, così contemporanea, secondo la quale bisogna ricavare sempre il massimo da noi stessi».