Corriere La Lettura 8.5.16
Salone di Torino
L’islam non temeva il sesso. Ora ha paura delle donne
di Leïla Slimani
Il
mio sesso non midi appartiene. Avevo 16 anni quando per la prima volta
l’ho pensato. Appartiene a mio padre, a mio fratello. Un giorno
apparterrà a mio marito. E per tutta la mia vita Dio, lo Stato, la folla
avranno comunque un diritto su di esso. Avevo 16 anni e vivevo in
Marocco, dove sono nata e cresciuta. Lì il codice penale prevede il
carcere per chi ha rapporti sessuali fuori dal matrimonio. Dove
l’omosessualità è punita con un periodo che va dai 6 mesi ai 3 anni di
prigione, dove l’aborto è illegale e dove una persona sposata colpevole
di adulterio rischia la reclusione.
Tutti i Paesi musulmani non
hanno lo stesso corpus legislativo ed esistono grandi differenze fra il
regime di quasi apartheid dell’Arabia Saudita, in cui le donne sono
ridotte a oggetti, e quello della Turchia o della Tunisia in cui sono
riconosciute come cittadine a tutti gli effetti. Ma ovunque regnano la
stessa morale e la stessa ipocrisia. Ovunque si finge di credere che i
giovani non abbiamo rapporti sessuali clandestini. Si nega l’esistenza
di concubine, omosessuali, prostitute. La gioventù musulmana e le donne
in particolare vivono la loro sessualità in un clima di confusione e di
angoscia. Si fa l’amore ma segretamente, senza parlarne mai. Alcune
ragazze accettano la sodomia per timore di perdere l’imene.
Ho
spesso pensato che non è un caso se Adèle, il personaggio del mio
romanzo Nel giardino dell’orco (Rizzoli), è una donna frustrata, che
mente, che conduce una doppia vita. Dall’Egitto all’Iran, passando per
l’Algeria, il matrimonio è l’unico spazio di sessualità accettabile. Se
la società si mostra indulgente riguardo al corpo maschile, che deve
poter gioire, alla donna tutto è proibito al di fuori della vita
coniugale. La donna è oggetto del godimento ma mai soggetto. Vergine o
sposa. Dappertutto vale lo stesso modello.
La verginità è un tema
assillante, che si sia liberali o meno, religiosi o no. Idealizzata,
mitizzata, è uno strumento di coercizione destinato a tenere le donne in
casa e a esercitare su di loro una sorveglianza continua. È oggetto di
una preoccupazione collettiva invece d’essere una questione privata. Una
donna che perda la verginità fuori dal matrimonio disonora famiglia,
clan, villaggio; diventa un’emarginata, una criminale.
L’Isis non
ha forse spinto fino all’orrore questa funesta ossessione promettendo ai
martiri, come ricompensa, fanciulle eternamente vergini, che anche un
rapporto sessuale non riuscirebbe a deflorare?
Sulla sessualità
delle donne musulmane non bisogna però dipingere un quadro dalle tinte
troppo fosche e senza sfumature. Poiché, se la legge e la morale sono
rigide e pesanti, la condizione delle donne nel mondo islamico si è
considerevolmente evoluta negli ultimi cinquant’anni. E una nuova
generazione di donne trae vantaggio dalla lotta che le più anziane hanno
portato avanti per il riconoscimento dei loro diritti, per aver accesso
agli anticoncezionali, alle cure mediche, all’educazione. Nei centri
urbani, a Casablanca, al Cairo, a Beirut, ci sono donne che vivono la
loro vita con determinazione. Indipendenti finanziariamente, viaggiano,
consumano e hanno una vita sessuale. Certo, per molte di loro il prezzo
da pagare è alto. Infatti, come scriveva la sociologa marocchina Fatima
Mernissi in Rêve de femmes : «L’ordine e l’armonia esistono solo quando
ogni gruppo rispetta le hudud , le frontiere sacre. Qualsiasi
trasgressione provoca necessariamente anarchia e disgrazia».
Le
donne vivono una lotta interiore dura, lacerante, fra la volontà di
liberarsi dalla tirannia del gruppo e il timore di esserne punite.
Alcune di loro arrivano al punto di riappropriarsi della religione
musulmana, presa in ostaggio dal patriarcato dominante. Le «femministe
islamiche» hanno l’ambizione di tornare ai Testi e di dimostrare che
l’islam non è più misogino degli altri monoteismi. Ripetono di continuo
che, nei primi tempi dell’islam, il sesso non era un tabù. Lo stesso
Maometto è stato una «guida sessuale» per i suoi compagni. Alcuni hadith
, racconti, parlano di contraccezione e di orgasmo come preludio ai
piaceri promessi agli abitanti del Paradiso.
Dal IX al XIII
secolo, la letteratura e l’arte erotica si diffondono; il corpo
femminile è decantato, esaltato, descritto come fonte estrema di
piacere. Il celebre manuale dello sceicco Al Nafzawi, Il giardino
profumato , scritto nel XIV secolo per un principe bisognoso di consigli
erotici, comincia con bismillah , cioè «In nome di Dio misericordioso».
Come
sembrano lontani i tempi in cui il mondo musulmano era conosciuto per
la sua sensualità e in cui i cristiani trovavano sconveniente che
Maometto ostentasse la sua felicità coniugale e sessuale.
A
partire dal XIX secolo, il declino intellettuale, politico ed economico
del mondo arabo va di pari passo con una visione più puritana della
sessualità. Per gli islamisti, la sconfitta del mondo arabo, caduto
sotto il giogo occidentale, è in parte imputabile alla libertà sessuale
che vi regnava. Negli anni Cinquanta i nazionalisti, che si danno da
fare per l’indipendenza del loro Paese, sostengono l’emancipazione delle
donne musulmane. Che si scoprono il capo, lavorano, studiano. Tuttavia,
i nuovi leader non hanno mai esortato alla libertà sessuale delle
donne. Come se il corpo femminile rimanesse una fortezza identitaria.
Attaccare questi principi fondamentali, la verginità e il pudore
femminile, significava rischiare di perdere l’identità stessa dei loro
Paesi. Le donne saranno tradite a turno dai modernisti, che ripetono di
non poter andare troppo velocemente o troppo lontano, e dagli islamisti,
che considerano l’uguaglianza dei sessi un preludio alla anomia.
Da
allora, la donna è rinchiusa nei fantasmi di uomini resi impotenti
dalla dominazione che subiscono. Per i salafiti, l’Occidente è un
contro-modello: dove la trasparenza è esagerata, dove tutto si dice e
tutto si vede, dove si fa l’amore sempre e dovunque e dove il corpo
delle donne non è più oggetto di alcun pudore. Cedere a questo modello
significa rischiare di sprofondare nel caos.
Oggi, in un mondo
musulmano che si è sentito umiliato, quello sessuale diventa l’unico
spazio in cui l’uomo può esercitare il proprio dominio. Il corpo della
donna deve essere fiero dell’identità musulmana. Attraverso il suo corpo
si misura l’onore, l’immagine, la virtù di un popolo, di una famiglia,
di uno Stato. Le femministe musulmane temono — probabilmente a ragione —
di essere accusate di voler traviare la società se militano per una
liberazione della sessualità femminile. Di conseguenza, si concentrano
su quelle che per loro sono le priorità: l’educazione e la salute. Ma i
diritti sessuali non dovrebbero esser visti come secondari. Disporre del
proprio corpo come si vuole, condurre una vita sessuale che sia priva
di rischio, fonte di piacere e libera da qualsiasi coercizione sono
necessità fondamentali.
Sono completamente d’accordo con Kamel
Daoud quando dice che il mondo arabo vive una situazione di miseria
sessuale generalizzata, in particolare per le donne le cui esigenze
sessuali, se come fine non hanno la riproduzione, sono semplicemente
ignorate. Donne che sono sottomesse all’imperativo della verginità prima
del matrimonio e poi alla passività. Donne il cui corpo è sottoposto a
un tale controllo sociale che non possono avere pienamente il ruolo di
cittadine. Essendo a tal punto «sessualizzata», esortata al silenzio o
all’espiazione, la donna è negata in quanto individuo. È soltanto
moglie, figlia, sorella, madre. Rimane da inventare la donna che non
appartenga a nessuno, che debba rispondere delle sue azioni solo come un
qualunque cittadino e non in funzione del suo sesso. La donna che possa
liberarsi dalla qa’ida , cioè dalla norma, dalla consuetudine ammessa
da tutti. Una donna il cui sesso non appartenga che a se stessa.
( traduzione di Daniela Maggioni )