Corriere La Lettura 8.5.16
Salone di Torino
Arabi senza Arabia: la patria nomade
di Cristina Taglietti
Quale
cultura araba si presenterà al Salone di Torino? Mettiamola così: gli
scrittori al Lingotto saranno, prima di tutto, quelli che potranno
arrivarci. Per questo non si sentirà la voce di Abdo Khal. Era l’unico
saudita previsto dopo la decisione di sostituire la formula del Paese
ospite con il focus sulla cultura araba, ma non è riuscito a ottenere il
visto per l’espatrio, come spiega l’editore italiano, Atmosphere, che
pubblicherà il suo libro il 15 maggio. Quella di Abdo Khal, d’altronde, è
una voce dissidente e il suo romanzo Le scintille dell’inferno non può
essere pubblicato in patria.
Cinquantaquattro anni, direttore di
«Okaz», uno dei più diffusi quotidiani sauditi, vive a Gedda e non ha
grande libertà di movimento. Qualche anno fa il club di lettura di cui è
direttore nella sua città è stato dato alla fiamme anche per aver
ospitato scrittrici donne. I suoi libri affrontano temi tabù: il sesso, i
soldi, il potere. Le scintille dell’inferno , tradotto anche in
inglese, ha vinto l’Arabic Booker Prize (Ipaf) del 2010, il più
importante premio letterario arabo, ed è la satira grottesca di una
società dove la ricchezza potenzialmente infinita generata dal petrolio
produce diseguaglianze e distorsioni. Anche il terrorismo, per Abdo
Khal, deriva dalla corruzione della società, dall’«appassimento dei suoi
valori e principi».
Il romanzo si apre con una scena di tortura:
il protagonista, Tarek, figlio dei bassifondi di Gedda, è diventato uno
dei più fedeli servitori di un enigmatico Padrone che lo paga per
stuprare e torturare i suoi nemici. Un incarico che gli permette di
uscire dagli slum in cui è cresciuto ma lo rende schiavo.
A Torino
non ci sarà neppure Ahmed Nagi: lo scrittore e blogger egiziano è in
carcere, condannato a due anni per oltraggio al pudore dopo che un
periodico ha pubblicato una paginetta del suo nuovo romanzo in cui si
descrive un rapporto sessuale ma si mostra anche l’atmosfera cupa, ben
lontana da quella addomesticata spacciata dalle autorità, che si respira
al Cairo.
Eppure Nagi e Khal al Salone in qualche modo ci
saranno, insieme ad altri autori che non hanno potuto pubblicare le loro
opere in patria o a cui è proibito lasciare il Paese, come il siriano
Muhammad Dibo, che ha provato sulla sua pelle la durezza delle carceri
di Assad o Badryah El-Bishr, prima columnist donna dell’Arabia Saudita,
Paese in cui le donne non possono neppure guidare l’automobile. Ci
saranno attraverso le loro pagine, che verranno lette da scrittori arabi
e italiani in una maratona chiamata Quaderni dal carcere arabo .
«Paradossalmente,
la vera funzione dello scrittore diventa evidente proprio dove gli è
più difficile esercitare il suo mestiere, che è quello di fare ricerca,
di porre in modo nuovo vecchie domande, di agitare le coscienze», dice
Ernesto Ferrero, direttore del Salone. La letteratura araba nei festival
e nelle rassegne occidentali è spesso rappresentata dai romanzieri,
sulla scia di un certo orientalismo un po’ limitato. «Qui abbiamo
invitato scrittori, poeti, sociologi, giornalisti, docenti, fumettisti
perché ci spieghino che cosa cambia e che cosa rimane bloccato in una
realtà estremamente complessa. Molti degli ospiti sono profondamente
radicati nei loro Paesi, ma sono spesso in Occidente o fanno i
pendolari, perché in patria hanno vita difficile. Il siriano Adonis sta a
Parigi, come spesso Boualem Sansal, Laïla Slimani o Mahi Binebine.
L’iracheno Sinan Antoon, poeta e documentarista, insegna a New York».
Ferrero li definisce «grandi costruttori di ponti, lucidi analisti dei
blocchi che attanagliano tanta parte delle società arabe, di cui
registrano e propiziano novità e fermenti che a noi sfuggono. Sono i
primi a spiegarci che dal terrorismo non si esce opponendo violenza alla
violenza ma facendo un lavoro culturale sul campo: lungo, paziente,
approfondito».
Le loro voci servono anche per ricordare che «islam
non è sinonimo di violenza, così come i terroristi degli anni di piombo
non rappresentavano l’Italia». Anche se al Salone ci saranno autori
come Boualem Sansal che nel suo romanzo 2084 (Neri Pozza) immagina un
mondo dominato da una teocrazia totalitaria o Adonis che alle derive
dell’islam radicale e alle false interpretazioni del Corano ha dedicato
il suo ultimo libro, pubblicato da Guanda.
Il programma torinese è
stato curato con l’aiuto di un gruppo di arabisti italiani e
internazionali che fanno capo a Paola Caridi e a Lucia Sorbera
dell’Università di Sydney, due studiose che l’anno scorso avevano
criticato duramente il progetto del Salone di invitare l’Arabia Saudita.
«L’idea è di non avere un Paese ospite — spiega Caridi —, ma una
patria. Non soltanto attraverso gli scrittori più noti, come Tahar Ben
Jelloun o Yasmina Khadra, ma anche attraverso quelli che, scrivendo in
arabo o in una lingua occidentale, esprimono comunque, in modo diverso,
una cittadinanza nomade, come Adhaf Soueif e May Telmissany, profonde
conoscitrici dell’Egitto, che lavorano in Gran Bretagna e in Canada e
mantengono salde le loro radici». Non parleranno di condizione femminile
ma di letteratura, identità, attualità, futuro. Anche questo è un modo
per uscire dai cliché. D’altro canto i temi dell’emancipazione e dei
diritti delle donne passeranno attraverso le opere e il ricordo della
marocchina Fatima Mernissi e dell’algerina Assia Djebar, due grandi
autrici scomparse nel 2015 che, sfidando la prospettiva maschile
dominante, hanno riscritto la storia dell’islam e la politica degli
Stati post-coloniali da una prospettiva femminile e femminista.
La
libertà è il filo che lega protagonisti e incontri, «la condivisione di
una cittadinanza — spiega ancora Caridi — sulla base di diritti
precisi: libertà di espressione, di lavoro, di manifestare la propria
identità».
Al Lingotto si potranno incontrare gli esponenti di una
generazione di scrittori portatori di un nuovo modo di pensare se
stessi e la propria personalità e, in questo senso, la dimensione
privata, intima si intreccia con quella politica e sociale e con la sua
declinazione più recente, le primavere arabe. Basti pensare a Salem
Haddad, che nel suo Ultimo giro al Guapa (e/o) racconta una storia
d’amore omosessuale dentro i sussulti di piazza Tahrir.
Amore ed
erotismo, spesso tabù della letteratura, ne sono tuttavia da sempre
linfa vitale, anche se spesso, e soprattutto in tempi recenti,
sottoposti alla censura. Le anime arabe del Lingotto sono anche anime
poetiche. In questo senso lo sforzo del programma è stato quello di
offrire un canone poetico, al di là delle interpretazioni occidentali
che tendono a mettere al centro il romanzo. Due serate saranno dedicate a
due grandi nomi, il palestinese Mahmoud Darwish (i suoi versi saranno
interpretati e letti in arabo e in italiano da poeti, musicisti e
artisti hip-hop) e il siriano Nizar Qabbani, il cantore dell’eros e
della sensualità, l’anima ribelle amata dal popolo, i cui versi, dice
Caridi «finiscono nelle canzonette» e raggiungono tutti.