Corriere La Lettura 8.5.16
Gramsci approda sul touchscreen
In esposizione gli originali dei «Quaderni del carcere» Si discute sul restauro e sull’ipotesi che ne manchi uno
di Antonio Carioti
Gli
originali dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci (qui sopra in una
foto segnaletica del 1933) saranno in mostra al Salone del Libro di
Torino dal 12 al 16 maggio, a cura della Fondazione Istituto Gramsci e
dell’Associazione Enrico Berlinguer. Poi i quaderni andranno in
esposizione a Milano, dal 20 maggio al 17 luglio, alle Gallerie d’Italia
di Intesa Sanpaolo, dove saranno in mostra anche due quadri di Renato
Guttuso: La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio e I funerali di Togliatti
. Nelle due mostre sarà possibile consultare gli originali dei quaderni
in formato digitale attraverso touchscreen
Hanno
seguito la sorte del loro autore dalla prigione di Turi, in provincia di
Bari, alla clinica romana dove Antonio Gramsci morì, a 46 anni, il 27
aprile 1937. Poi hanno viaggiato tra l’Italia e l’Urss, andata e
ritorno. Sono stati esposti nell’immediato dopoguerra e nel 2011. Sono
rimasti a lungo presso una filiale di Banca Etruria, chiusi in una
cassetta di sicurezza. Ora i Quaderni del carcere gramsciani approdano
in versione digitale su touchscreen , per consentire al pubblico di
sfogliarli, nelle due mostre degli originali organizzate dalla
Fondazione Istituto Gramsci, loro proprietaria, al Salone di Torino e
quindi a Milano, presso le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo.
L’iniziativa
ha suscitato dubbi, perché il lavoro di diagnostica e restauro affidato
nel luglio 2014 all’Istituto per la conservazione del patrimonio
archivistico e librario (Icrcpal), con l’accordo che dovesse concludersi
alla fine del 2016, non è ancora terminato. Come conferma la direttrice
dell’Istituto, Maria Letizia Sebastiani, sette quaderni non sono stati
ancora restaurati: i lavori continuano in questi giorni. E Luciano
Canfora, membro della commissione che stabilì modi e tempi dell’opera
affidata all’Icrcpal, si mostra perplesso: «Per ragioni di sicurezza, ma
soprattutto per non interrompere il lavoro delicatissimo in atto presso
l’Istituto, sarebbe stato saggio rinunciare alle esposizioni di Torino e
Milano. Spero che i quaderni tornino in seguito all’Istituto stesso per
consentire la conclusione dei lavori, anche perché la commissione che
diede vita agli accordi scritti sull’opera di restauro ha forse
l’obbligo di constatarne direttamente, alla debita scadenza, il
compimento».
Secondo il vicedirettore della Fondazione Istituto
Gramsci, Francesco Giasi, non c’è motivo di preoccuparsi: «Seguiremo le
massime cautele: gli originali saranno esposti in teche climatizzate e
dotate di allarme. L’Icrcpal ci ha assicurato che sono in buone
condizioni: non c’è documento contemporaneo che sia stato salvaguardato
con la stessa cura di questi quaderni». E il completamento del restauro?
«Vedremo come regolarci, tenendo conto che in novembre è prevista
un’altra mostra degli originali a Roma».
D’altronde la storia
delle carte gramsciane è tormentata da sempre. Il leader comunista,
arrestato l’8 novembre 1926 e condannato dal Tribunale speciale fascista
a vent’anni di carcere il 4 giugno 1928, ottenne il diritto di scrivere
in cella nel febbraio 1929. Lo faceva sui quaderni che gli procurava la
cognata russa Tania Schucht, sorella della moglie Giulia e impiegata
dell’ambasciata sovietica a Roma, che lo assistette nel suo calvario.
Era un lavoro faticoso, per la salute precaria dell’autore e le
limitazioni poste dalle autorità carcerarie: non a caso i Quaderni hanno
un andamento irregolare, passano spesso da un argomento a un altro.
Per
rendere fruibile l’opera, nella prima edizione (1948-51) curata da
Felice Platone per Einaudi, sotto la supervisione del segretario del Pci
Palmiro Togliatti, le riflessioni di Gramsci furono raggruppate per
aree tematiche: Il materialismo storico , Gli intellettuali , Note sul
Machiavelli e così via. L’ordine cronologico degli originali venne poi
ripristinato nell’edizione critica curata nel 1975, sempre per Einaudi,
da Valentino Gerratana. Nel 2009 è uscita un’edizione anastatica curata
da Gianni Francioni, edita dalla Treccani e dal quotidiano «L’Unione
Sarda». E la stessa Treccani sta ripubblicando i Quaderni nell’Edizione
nazionale delle opere di Gramsci, a cura di Francioni, Giuseppe Cospito e
Fabio Frosini.
Quando Gramsci morì, i quaderni vennero recuperati
da Tania e solo alla fine del 1938 arrivarono in Urss e furono
consegnati alla famiglia Schucht. La maggioranza degli studiosi ritiene
che nel frattempo siano stati depositati all’ambasciata sovietica, ma
Nilde Iotti, compagna di Togliatti, affermò che invece vennero
conservati in una cassaforte della Banca commerciale italiana, diretta
dall’antifascista Raffaele Mattioli.
Di certo in Urss si aprì un
contenzioso tra i comunisti italiani e le sorelle Schucht (oltre a Tania
e Giulia, affetta da una malattia nervosa, c’era Eugenia, la più
energica, che aveva avuto a suo tempo una relazione con Antonio) su chi
dovesse occuparsi dei quaderni. Va ricordato che Gramsci era entrato in
contrasto con Togliatti nel 1926, prima dell’arresto, e in seguito aveva
dissentito dal partito. Per giunta era convinto che il Pci avesse
ostacolato le trattative tra i governi italiano e sovietico sulla sua
liberazione. Alla fine l’Internazionale comunista affidò i quaderni al
Pci, ma quelle vicende travagliate rendono plausibile l’ipotesi,
avanzata da Franco Lo Piparo, che sia esistito un quaderno in più
rispetto a quelli noti, fatto sparire per il suo contenuto scomodo.
Gli
originali di cui disponiamo sono 33: 29 di riflessioni e 4 di
traduzioni. Ma vari documenti citano 30 quaderni, riferendosi solo a
quelli contenenti le note di Gramsci, oppure 34, comprendendoli tutti.
Lo stesso Togliatti parlò di 34 quaderni in un discorso a Napoli nel
1945.
L’esame compiuto sugli originali dall’Icrcpal ha rivelato
particolari strani. Tania aveva etichettato alla rinfusa con numeri
romani (da I a XXXI) 31 quaderni, ma sotto tre etichette ci sono le
tracce di una precedente diversa numerazione, che arriva fino a XXXIII.
Per Canfora è una prova dell’esistenza del quaderno mancante: «Se Tania
ne aveva contati 33, basta aggiungere quello su La filosofia di
Benedetto Croce , che la Schucht non etichettò, per giungere a 34». C’è
poi un altro quaderno privo della numerazione romana, che reca però
sulla copertina in alto a destra una scritta «(34)», apposta non si sa
da chi. E Lo Piparo insiste sull’etichetta sottostante a quella che
porta il XXIX, dove Tania aveva annotato «Incompleto/ da p 1 a 26/
XXXII». Cioè aveva descritto un quaderno riempito per sole 26 pagine,
che oggi non possediamo e potrebbe essere quello mancante.
Tutti
indizi che non convincono Francioni: «Con le rietichettature Tania deve
aver cercato di rimediare a qualche errore. La sua catalogazione è molto
imprecisa e non si possono fare grandi deduzioni rilevandone le
irregolarità: si sbagliava spesso. Quanto alle discordanze circa il
numero dei quaderni, bisogna ricordare che ce ne sono anche due lasciati
in bianco (quindi in tutto sono 35), che possono aver ingenerato
confusione. Sta di fatto che nel contenuto i Quaderni sono tutti
collegati reciprocamente e nelle loro note non troviamo riferimenti a
testi rimasti sconosciuti. L’ipotesi del quaderno mancante è suggestiva,
ma non ci sono elementi solidi per sostenerla».
Sulla questione
nel 2012 era stata istituita una commissione, diretta dal presidente
dell’Istituto Gramsci Giuseppe Vacca, ma le opinioni sono rimaste
discordi.