il manifesto 5.6.16
Una prigione a cielo aperto di Michel Foucault
Genealogie.
Pubblicato «La società punitiva», il corso che il filosofo francese
tenne al Collège de France tra il 1972 e il 1973. Un testo «militante»
sul carcere, ma centrale per comprendere le teorie dello stato e del
sapere, sviluppate nel decennio successivo
di Toni Negri
Ripercorrere
queste Lezioni Michel Foucault (La società punitiva. Corso al Collège
de France (1972-1973), Feltrinelli, pp. 371, euro 35) significa
immergersi nelle temperie parigine del dopo ‘68. Sono Robert Castel e
Felix Guattari (oltre naturalmente a Gilles Deleuze) che salgono
immediatamente sul proscenio quando si parli di istituzioni repressive
ed è in relazione all’insieme di temi da loro sollevati, divenuti
centrali nella discussione politica, che Foucault apre la sua ricerca.
Gli aspetti anti autoritari del ‘68 avevano drammatizzato la figura
repressiva dello Stato: su questo tema occorreva far chiarezza. In più
c’è l’esperienza del Gip, il «Gruppo di intervento sulle prigioni», di
matrice «maoista», al quale Foucault partecipa da protagonista: è
un’esperienza dura nei confronti della «giustizia», delle autorità
carcerarie e drammatica nel rapporto con i detenuti. Parlare di carcere,
parlare col carcere significa infatti scontrarsi direttamente con la
struttura del comando sociale e confrontarsi con una funzione
specialista ed essenziale dello Stato.
È per Foucault un’apertura
alla militanza, alla soggettivazione della lotta. Ma un’apertura
interrotta dalla violenza dello scontro, consumata nella sproporzione
dell’iniziativa di resistenza contro la risposta del potere. Ribellarsi è
giusto ma… Compito immediato dell’intellettuale critico, situato in
questa lotta, sarà allora quello di approfondire l’analisi. Il fine è
comprendere per ricominciare, un passo diretto dalla teoria alla praxis,
facendo del carcere un «caso» non più semplicemente della repressione
ma dell’organizzazione del comando capitalista sulla società. Che, in
questo frangente, il tema della fabbrica sia accostato a quello del
carcere non può dunque stupire: stupisce semmai il fatto che non sia la
fabbrica, direttamente, come molto più spesso avveniva in
quell’atmosfera, ad essere protagonista. Ma parlare del carcere è
parlare della fabbrica: de te fabula narratur.
Il rovello del Politico
Ed
è parlare del «politico», dello Stato come prodotto di una «guerra
civile permanente». Di dove esce questa formula? Dal rovesciamento del
dicton clausewitziano sulla «guerra come politica fatta con altri mezzi»
nella concezione del «politico come immediato terreno di guerra
sociale». Oltre a raccogliere temi presenti nel dibattito francese in
quegli anni (si trattava di spiegare come la repressione statale delle
lotte del ‘68 lasciasse inalterato l’antagonismo sociale) e nel decennio
precedente (l’influenza di Socialisme ou Barbarie non è certo
diminuita) quel rovesciamento si vuole immediatamente polemico nei
confronti della concezione, marxiana e comunista, della lotta di classe.
Ben paradossale questa polemica, perché infatti la ricerca foucaultiana
affonda la propria base (documentaria e teorica) e consolida il proprio
effetto retorico (nel riferimento alla rivolta seicentesca dei Nu-pieds
normanni) nella reinterpretazione della lotta di classe di quegli
autori marxisti che l’avevano descritta nel periodo di nascita
dell’assolutismo moderno. Boris Porchnev (I sollevamenti popolari in
Francia, Jaca Book), è la fonte di questo argomento ed è fuori dubbio
che per lui «guerra civile permanente» significa nel Seicento «guerra di
classe».
Foucault affonda le mani nell’ampia letteratura che in
quegli anni tratta della nascita dello Stato moderno ed evidenzia la
presenza ossessiva di una «guerra civile permanente» – quella guerra
civile che un altro autore marxista, da Foucault largamente studiato,
Edward P. Thompson (The Making of the English Working Class, La
formazione della classe operaia inglese, Il Saggiatore. Purtroppo da
molti anni assente nelle librerie) aveva descritto per l’Inghilterra,
illustrando la genesi dei comportamenti di una classe operaia nascente.
La vita sotto sequestro
Il
modello del carcere (e quello della fabbrica), riassunto nell’assetto
disciplinare del potere, potrà dunque essere interpretato come una nuova
lettura della lotta di classe? Non c’è risposta al quesito: larvatus
prodeo, ripete Foucault. L’originalità del suo lavoro è comunque
poderosa non solo dal punto di vista storiografico (la continua
comparazione dei sistemi penali e della morale nel disciplinamento
sociale, nelle teorie che ne accompagnano la genesi, la nascita del tipo
«nemico sociale» e della penalità adeguata il sorgere del penitenziario
in Inghilterra e Francia, la forma-prigione come modello sociale e la
fabbrica come sequestro del tempo della vita, etc.) – lo è anche e
soprattutto dal punto di vista del metodo ed è sul metodo che qui
vogliamo insistere.
Un primo punto consiste nel superamento,
condotto in maniera fenomenologica (quando per fenomenologia si intenda
alla Merleau-Ponty un orizzonte di esperienza), del metodo
strutturalista. È invece un «metodo per dispositivi» quello che Foucault
inaugura. Un cammino di immersione nella realtà per farne parlare i
molteplici aspetti, esprimendo la potenza degli attori. Se mai si è
potuta fare una precisa differenza fra la historia rerum gestarum e le
res gestae, qui essa è chiaramente esposta. Res gestae: una storia
narrata attraverso l’immersione dell’autore nell’archivio per provocare
l’emergere di un regime di temporalità e di un paesaggio storico: la
contemporaneità è spinta nel passato per farlo vivere. Sono gli attori
stessi della storia ad esser messi in movimento: ne risulta la
definizione della politica come guerra dei poveri contro il potere e del
potere contro i poveri. È questo rapporto che configura l’oggetto
storico.
La ricezione liberale
Vi è poi un secondo punto
essenziale: la forma nella quale il conflitto produce. È un conflitto
molteplice, plurale, impossibile da ridurre sotto una sola categoria.
Quanto l’interpretazione liberale del pensiero di Foucault ha insistito
su questo! Sulla ricchezza della pluralità, micro piuttosto che macro,
dissolutiva del dualismo antagonista del marxismo!
Eppure, lungi
dall’essere dispersivo, questo conflitto è strutturante – strutturante a
vantaggio del potere ma anche disegnato, nella sua instabilità, dalle
urgenze del momento, da una molteplicità di motivi sempre da riportare
all’unità della funzione – un potere inteso come fragilità e
contraddizione. L’importanza della scuola degli Annales (nel periodo
braudeliano) su questo passaggio è indubbiamente essenziale – ma quanto
ne ha fatto Foucault è irriducibile ad ogni influenza esterna.
Un
terzo elemento poi, caratterizza, queste Lezioni nell’evoluzione del
pensiero foucaultiano: la nuova definizione del «sapere». Una
definizione del «sapere» che comprende e compatta sia la soggettivazione
del campo del conoscere sia l’insieme dei meccanismi che ne determinano
la complessità. Il sapere di un’epoca (e quello di chi la conosce) non
sta fuori ma dentro l’insieme di dispositivi che strutturano,
organizzano ed eventualmente disciplinano la vita. Non il mero contesto
degli eventi, non il tessuto giuridico, non semplicemente il terreno
ideologico: tutto questo deve essere stretto insieme nel caratterizzare
un’epoca, il suo farsi e le sue infinite contraddizioni.
La
dispersione dei poteri è percorsa dalla respirazione dei saperi che in
essa si registra. Una posizione di Foucault contro Althusser? Fu certo
giocata in questo senso, come un’estrema e feroce polemica contro la
teoria althusseriana degli appareils idéologiques d’État. È bene
tuttavia essere prudenti in proposito. Di differente ed irriducibile c’è
sicuramente il punto di vista: Foucault guarda le cose «dal basso» e
Althusser «dall’alto» – ma in entrambi il collegamento interno ai
conflitti, strutturanti il potere, è dato da un sapere capace di
inseguire la molteplicità nel configurarsi della macchina del potere.
Le accuse settarie
Leggendo
queste Lezioni si capisce quanto pretestuoso fosse il fatto di
assumere, allora nel ‘72-’73, il pensiero di Foucault come quello di un
«anti-Marx». Rileggendo queste Lezioni continuo a ripetermi che Foucault
divenne in Francia un anti-Marx non perché egli lo fosse ma perché Marx
era ignoto ai suoi contraddittori, amici o nemici che fossero. Il
panorama delle letture di Marx in Francia in quegli anni è, tolte alcune
eccezioni, davvero miserabile.
Le letture marxiane più recenti,
ma anche antiche come quelle di Porschnev e di Thompson, mostrano un
«Marx vivente»: Foucault rilegge questo Marx vivente fuori dalle
imbarazzanti apologie marxiste del Pcf e contro ogni autorità, ogni
lettura fatta dall’alto, e fa di Marx un tacito attore del proprio
metodo.
Ma il problema non riguarda semplicemente la Francia.
Quando, alcuni anni dopo, apparve Sorvegliare e Punire, la sua recezione
in ambito marxista fu tra le più settarie e cieche che si potessero
immaginare. Per l’Italia – dove, assecondando le letture operaiste di
Marx, avrebbe potuto essere più semplice leggere quel libro – le
critiche furono feroci fra filosofi e ideologi come Asor Rosa e Massimo
Cacciari. Ben diverse le letture dei giuristi, fra le quali quella
straordinaria di Mario Sbriccoli.
Che dire in definitiva? Quelle
Lezioni del ‘72-‘73 costituiscono, come abbiamo detto, una formidabile
introduzione alla studio della «guerra civile» che percorre la storia
del capitale e dello Stato moderno. Alla forte implicazione soggettiva
del metodo manca ancora tuttavia, in quelle Lezioni, l’apporto di una
soggettività militante compiuta. L’esperienza del Gip non era stata
sufficiente a costruirla. Saranno le lotte degli anni successivi che
permetteranno a Foucault di fare ponte, attraverso la militanza, con il
suo pensiero degli anni ’80: una soggettività in azione che si vorrà
immediatamente costituente.