Corriere La Lettura 22.5.16
Costantino imperatore trasformista
Bisogna superare l’immagine di un convertito che abbraccia la fede cristiana senza ripensamenti
Dall’indagine
di Alessandro Barbero emerge il percorso mutevole di un monarca mai
simile a se stesso che persegue a lungo forme di sincretismo religioso
di Amedeo Feniello
Riparlare
oggi della figura di Costantino può apparire anacronistico. C’è
qualcosa ancora da dire su un personaggio su cui sono stati scritti
fiumi di parole? Alessandro Barbero, invece, nel suo ultimo, importante
lavoro intitolato Costantino il vincitore (Salerno) sostiene il
contrario. Che su Costantino c’è ancora tanto da scavare e da
raccontare. Basta non essere pedissequi e seguire una prospettiva
originale e metodologicamente avvincente. Così Barbero accantona la
storiografia sedimentata nel tempo, spesso caotica e fuorviante, ricca
di episodi che fanno ormai parte della vulgata (ricordate la visione
della Croce con la scritta in hoc signo vinces ?), ma spesso fondati su
«un mero montaggio di congetture». E sceglie, da par suo, un’altra
strada. Irta di insidie, ma filologicamente corretta, che è quella di
riprendere le fonti originarie, convinto che «ogni testimone coevo ha
una sua versione degli avvenimenti che non dipende solo dalle
informazioni fattuali di cui dispone, ma anche e soprattutto dal suo
orientamento culturale e ideologico».
Barbero riprende le
testimonianze più varie, da quelle letterarie — dei panegiristi come
degli ideologi, tra cui emerge Eusebio di Cesarea — a quelle materiali
della propaganda costantiniana, al corpus delle leggi promulgate durante
il suo regno, alle lettere e agli editti imperiali relativi alla vita
della Chiesa e alle sue controversie interne, riportati dai polemisti
cristiani del IV secolo, fino alle orazioni e ai manuali di storia
composti nei decenni successivi alla sua morte, prima che il mito
sovrastasse il ricordo dei contemporanei.
Più che da biografo,
Barbero lavora da investigatore. Con una domanda di fondo: le fonti su
Costantino, cosa raccontano? Sostanzialmente, parlano di quattro
momenti. Il primo, di ascesa, come figlio di Costanzo, tetrarca di un
Impero romano diviso in quattro, il meno accanito nella persecuzione dei
cristiani, che lo portò a raggiungere il titolo di Augusto e a
scontrarsi con Massenzio, fino alla fatidica battaglia di Ponte Milvio
(312), momento che si ammanta di un alone leggendario, con un comandante
assistito dalle potenze celesti. Il secondo è di ripartizione del
potere con gli altri due Augusti, Licinio e Massimino, con l’alleanza
stretta tra Costantino e il primo dei due; finché Licinio non liquida
Massimino e l’impero è, ormai, affare loro, di Costantino e Licinio, che
regnano beneficando largamente i cristiani, cui si spalanca un’epoca
nuova, di prosperità. Il terzo è l’epoca dello scontro con Licinio, che
termina con la vittoria di Costantino solo dominus dell’impero ormai
unificato, che associa al potere il figlio, Crispo. Il quarto è il tempo
dell’assestamento e della politica dinastica e religiosa, con
l’eliminazione del figlio Crispo e della moglie Fausta; la definizione
di una successione (Costantino jr., Costanzo e Costante); l’attenzione
crescente verso le comunità cristiane; e l’impegno per ricucire le
violente spaccature che dividono le Chiese d’Africa e d’Egitto con la
convocazione del Concilio di Nicea (325); fino al suo battesimo e alla
morte come membro della Chiesa.
Narrata così, la storia di
Costantino non presenterebbe novità e si offrirebbe al lettore quasi
priva di fascino, secondo una direttrice che parte dall’ascesa politica e
arriva fino alla sua adesione al cristianesimo. Però, avverte Barbero,
il percorso fu tutt’altro che lineare, con continui andirivieni,
scompensi, cambiamenti che solo la tradizione e la vulgata hanno
appiattito, fino a regalarci un’immagine, uniforme e incontrovertibile,
di un sovrano che abbraccia la fede senza ripensamenti.
Riprendo
un solo esempio nell’enorme mole di materiale presente nel libro e
relativo alla numismatica. Le innumerevoli monete coniate durante il
regno di Costantino costituiscono una fonte importante «per costruire il
flusso della comunicazione politica indirizzata dall’imperatore ai
sudditi». Cosa rivelano? La fortissima comunicazione simbolica e
l’assoluta autorappresentazione. Con delle prospettive inattese. Ci si
aspetterebbe, ad esempio, dopo la battaglia di Ponte Milvio, svolta
della nuova epoca, l’utilizzo dei simboli cristiani. E invece sulle
monete non c’è la Croce, ma il dio Sole. Più di metà di tutte le monete
messe in circolazione a nome di Costantino fra la vittoria di Ponte
Milvio e il decennio successivo sono insomma dedicate al Sole che è,
parole di Barbero, «l’invincibile compagno dell’imperatore, segno
inequivocabile di una scelta religiosa clamorosamente ostentata e certo
popolare».
Verrebbe da dire: e le visioni cristiane? E il signum
raccontato da Lattanzio a Ponte Milvio? E la cristianizzazione
dell’imperatore? La cartina di tornasole monetaria è in definitiva
l’indizio forte di una complessa, se non tormentata, vicenda
politico-religiosa, dove convivono a lungo ai vertici del potere decise
forme di sincretismo, visto che monete d’oro con rappresentazioni del
Sole riportate in un programma iconografico impegnativo (il Sole che
incorona Costantino o gli dona la vittoria) sono pervenute ancora per il
biennio 324-325, quasi nella fase cruciale del Concilio di Nicea.
Questo
è solo un esempio, ma nel volume se ne possono enumerare tanti altri,
come quello relativo all’Arco romano di Costantino sul quale, chiosa
Barbero, «vista la proliferazione degli studi si ha l’impressione che,
su di esso, anziché saperne di più ne sappiamo di meno». Testimonianze
da cui scaturisce in definitiva un personaggio impossibile da ricomporre
in maniera unitaria. Un Costantino mai simile a se stesso, abilissimo a
manovrare la propaganda, prima tollerante e quasi alla ricerca di una
prospettiva religiosa sincretica poi persuaso, negli ultimi anni di
vita, di essere stato accompagnato e protetto dal Dio cristiano. Una
memoria (e una propaganda) imperiale che non si cristallizza con la sua
morte, ma tende a plasmarsi ulteriormente. Col rafforzarsi delle
leggende su apparizioni celesti e in hoc signo vinces . Mentre il
ricordo di tanti contemporanei — pagani come cristiani — di un tiranno
dispotico, autocratico, violento nel linguaggio e nei fatti, evapora e
sfuma nel mito della lebbra che colpì l’imperatore, guarito
dall’intervento salvifico di papa Silvestro. Leggenda che è il
palinsesto su cui si elabora la costruzione della Donazione di
Costantino e della respublica cristiana medioevale.