domenica 22 maggio 2016

Corriere La Lettura 22.5.16
Il Rinascimento che non fu
La doppia prospettiva del Paolo Uccello recuperato svela una via alternativa respinta dai contemporanei
di Arturo Carlo Quintavalle

Firenze I lavori condotti sugli affreschi del Chiostro Verde di Santa Maria Novella mostrano l’interpretazione rivoluzionaria ed eretica da parte dell’artista toscano delle regole geometriche e visive fissate da Leon Battista Alberti. Anche Donatello contrastò lo stile pittorico del collega, sostenendo che lasciasse «il certo per l’incerto», e il Vasari contribuì in modo decisivo al giudizio negativo. Eppure si tratta di un percorso in continuità e non in rottura con la civiltà medievale. Era un modo diverso di rappresentare il tempo e lo spazio

Il restauro degli affreschi di Paolo Uccello nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella a Firenze pone il problema dell’arte del Rinascimento di solito identificata secondo un unico modello, quello della prospettiva unicentrica: chi non la pratica è posto ai margini della storia.
Vediamo dunque un’opera molto diversa da quello schema, l’affresco col Diluvio universale e la recessione delle acque : le grandiose pareti rossicce sono i legni dell’arca di Noè e propongono due tempi e due spazi del racconto. A sinistra l’arca del diluvio dove vediamo chi si aggrappa ai legni, chi sprofonda nei flutti; a destra la stessa arca è rappresentata ormai in salvo. Notiamo subito le geniali invenzioni prospettiche modulate sulla scansione del cilindro: l’uomo che esce dalla botte, la figura con al collo un mazzocchio, un cercine (una sorta di turbante circolare) a tasselli geometrici.
Tutte le figure hanno una salda struttura, corpi dunque come sculture antiche — infatti la «terretta» verde finge il bronzo — ma colte da punti di vista diversi. Il dialogo con Masaccio della cappella Brancacci alla chiesa del Carmine è evidente, ad esempio, nella grande, panneggiata figura di destra, ma la concezione spaziale del Tributo appare lontana e lo provano le due arche rosse viste con prospettive distinte: infatti i punti di fuga non convergono sullo stesso orizzonte.
Perché dunque Paolo Uccello non ha goduto nel Rinascimento di un consenso simile a quello degli altri protagonisti? Proprio il biografo di Filippo Brunelleschi, Antonio Manetti (1423-1497), accusa addirittura l’artista di imitare il progettista senza riuscirci: «Fucci poi Pagolo Uccello ed altri pittori che lo vollono contrafare ed imitare che n’ho veduti più d’uno e non è stato bene come quello». Manetti racconta, subito dopo, delle due perdute vedute di Brunelleschi che sono per lui punto di partenza della nuova prospettiva, la prima del Battistero l’altra di Piazza della Signoria, dove la piramide visiva parte dall’occhio di chi guarda e le linee di fuga convergono su un solo orizzonte.
C’è a Firenze come un quadrilatero del racconto in prospettiva, quella nuova, quella della intercisione (sezione) della piramide visiva teorizzata da Leon Battista Alberti nel Trattato della pittura che, non a caso, viene dedicato proprio a Brunelleschi (1436). A Orsanmichele, a mezza strada fra Battistero e Piazza della Signoria, ecco il basamento del San Giorgio di Donatello (siamo nel secondo decennio) con lo scorcio di arcate a tutto sesto sul fianco di un edificio; Oltrarno, alla chiesa del Carmine, Masaccio (siamo in pieni anni Venti) dipinge alla cappella Brancacci uno spazio disegnato dai volumi dei corpi e ancora Masaccio, e proprio a Santa Maria Novella, affresca nel 1427 la Trinità concepita come un grandioso arco di trionfo dove le strutture appaiono ispirarsi allo stesso Brunelleschi. L’ultimo punto di questo ideale quadrangolo è naturalmente il Duomo di Firenze dove Brunelleschi dipinge la sua prima veduta prospettica inquadrando il Battistero dalla porta mediana della cattedrale: geometria aggiunta alla struttura bicolore dei marmi dell’edificio. Ed è del resto proprio qui, al Battistero, che comincia il conflitto fra il nuovo, quello che si dichiara nuovo, e l’antico.
Il concorso per le seconde porte del Battistero fiorentino, bandito nel 1401, vede contrapposti Lorenzo Ghiberti e Brunelleschi. Mentre Brunelleschi pensa uno spazio scandito in profondità, fortemente architettonico, Ghiberti mantiene una visione più tradizionale, dove i punti di vista per le figure sono diversi da quelli delle architetture. Sarà lui, Ghiberti, il vincitore. Proprio questa porta, iniziata nel 1403 e finita nel 1424, ci fa capire le scelte di Paolo che è fra i venti aiutanti del Ghiberti impegnati a rifinire le fusioni delle formelle.
Torniamo alle immagini del ciclo appena restaurato. Scena con la Creazione degli animali e di Adamo : forte struttura delle figure, si veda il corpo di Adamo che è citazione dell’antico, forme dipinte entro un paesaggio ancora gotico dove gli alberi scalati in profondità sono segnali di uno spazio diverso. Meno ben conservata, ma di qualità, è la scena sottostante con la Creazione di Eva e il Peccato originale dove, ai corpi densi e strutturati di Masaccio, Paolo contrappone una visione diversa, armonica, da far pensare magari anche alle ricerche di Masolino.
Forse questo affresco chiude la prima fase dei dipinti di Paolo al Chiostro Verde dove alcuni aiuti, ma su suo disegno, dipingono la Cacciata dal Paradiso e dove ritroviamo citazioni dalla statuaria classica che si spiegano solo con un viaggio a Roma dell’artista. Lo conferma del resto il danneggiatissimo affresco con il Sacrificio di Caino e Abele e uccisione di Abele ; qui, al centro, vediamo ancora una figura che evoca i retori togati romani. Sempre su disegno di Paolo è Lamech che uccide Caino e Dio che ordina a Noè di costruire l’arca , coi falegnami che lavorano il legno in primo piano: essi ricordano gli scultori di colonne, capitelli e figure nel basamento della grande scena all’antica coi Santi quattro coronati di Nanni di Banco a Orsanmichele (1417).
Insomma Paolo conosce tutto sulla rivoluzione prospettica e sulla evocazione dell’antico dell’arte contemporanea, comprese le scelte di Donatello. Anche L’ingresso nell’arca , sempre su disegno di Paolo, sarebbe impensabile senza un dialogo specifico con l’arte romana classica, basti osservare le figure alla destra: donne velate, manti, toghe davanti a una apertura scandita in prospettiva. Ed è ancora da assegnare alla mano di Paolo, oltre alla scena del Diluvio , dalla quale siamo partiti, anche il riquadro sottostante con L’uscita dall’Arca , il sacrificio e la ebbrezza di Noè : si osservi la prospettiva scorciata della vigna al centro che scandisce i due diversi impianti prospettici delle immagini ai lati.
Perché dunque questi affreschi sono tanto importanti? Proviamo a rileggere quanto scrive nelle sue Vite Giorgio Vasari (1568), che ha contribuito non poco a mettere ai margini Paolo Uccello rispetto alla, per lui «vera», tradizione rinascimentale. Così Donatello avrebbe apostrofato Paolo: «Eh Paulo, questa tua prospettiva ti fa lasciare il certo per l’incerto; queste son cose che non servono se non a questi che fanno le tarsie». Insomma, Paolo avrebbe scelto una strada sbagliata, da giochi geometrici di legnaioli, di intarsiatori. Così Vasari, circa 150 anni dopo i fatti, costruisce il suo ufficiale racconto del Rinascimento.
Questi restauri pongono un problema: sono felicemente in salvo gli affreschi di Paolo che abbiamo analizzato, ora esposti nel museo della basilica, ma sono in condizioni penose tutti gli altri del chiostro, una palestra di artisti importanti che ci raccontano un altro Rinascimento. Il sovrintendente Marco Ciatti spiega a «la Lettura»: «Con un finanziamento limitato si possono salvare tutti i dipinti del chiostro e disegnare forse un’altra storia rispetto a quella vulgata del secondo quarto del secolo». In fondo non solo al Nord, con i Van Eyck e Rogier van der Weyden, ma proprio a Firenze vive il grande racconto di un’altra, altissima rinascita, che si pone in continuità e non in rottura con la civiltà medievale. Al Chiostro Verde di Santa Maria Novella vediamo un modo diverso di rappresentare lo spazio e il tempo del racconto di cui Paolo Uccello, e, prima di lui, Ghiberti, sono protagonisti.