Corriere La Lettura 22.5.16
Sapiens, l’invasore genocida
La capacità di immaginare mondi diversi ci ha resi particolarmente pericolosi, non soltanto come cacciatori
La nostra specie ha causato estinzioni in tutto il pianeta. Tra le vittime molti grandi animali e altri tipi di Homo
di Claudio Tuniz
Si
parla molto delle cosiddette specie esotiche invasive . Stabilitesi nel
nuovo habitat, esse causano l’estinzione di altre specie, facendo
variare significativamente gli ecosistemi naturali preesistenti. Nella
lunga lista di colpevoli pubblicata dalle autorità che tutelano la
biodiversità manca però una specie, di origine africana, che è riuscita
in tempi relativamente brevi a invadere l’intero pianeta: Homo sapiens .
Su come questo sia potuto accadere, e con quale impatto ambientale,
cominciamo ora a farci un’idea, ma esistono ancora molti punti oscuri.
Nel
libro Una specie imprevista (il Mulino), il paleontologo Henry Gee ci
consiglia di non basarci troppo su quanto archiviato nei pochi resti
fossili disponibili per azzardare ipotesi ardite sulla natura e sulle
origini umane, e ci ricorda che la nostra evoluzione ha avuto moti
aspetti contingenti e casuali. Non saremmo per niente speciali, se
confrontati con altri animali. E molte altre specie hanno avuto un
grande impatto sull’ambiente, ad esempio i batteri, a cominciare da
miliardi di anni fa. In base alle sue considerazioni, quindi, non
dovremmo illuderci di essere particolarmente invasivi.
Di parere
opposto è il noto scienziato cognitivo Philip Lieberman ( La specie
imprevedibile , Carocci) che usa la paleoantropologia, l’archeologia e
le neuroscienze per dimostrare la nostra unicità. Secondo Lieberman, tra
le cose che ci rendono speciali vi è la flessibilità con cui ci
relazioniamo con i nostri simili, basata sull’ambivalenza della nostra
natura cooperativa e competitiva. Discutendo questo tema nel libro
Humans (Springer), scritto con Patrizia Tiberi Vipraio, sostengo che sia
stato proprio questo carattere a renderci tanto invasivi.
Ad ogni
modo, speciali o no, non possiamo non restare impressionati dallo
spiazzamento operato dalla nostra specie, nei confronti di moltissime
altre, in poche decine di migliaia di anni. Quello che era solo un
piccolo gruppo di primati bipedi glabri e con un grande cervello è stato
capace di espandersi e modificare globalmente l’ambiente del pianeta,
con la sua flora e la sua fauna.
Direttamente o indirettamente,
abbiamo anche causato, probabilmente, l’estinzione di tutte le altre
specie umane che vivevano come noi durante la fine dell’ultima era
glaciale: perfino degli Hobbit. Non stiamo ovviamente parlando dei
nanerottoli nati dalla fantasia di Tolkien, ma della specie umana
scoperta nel 2004 nell’isola di Flores, in Indonesia. Nell’enorme grotta
di Liang Bua, a dieci metri di profondità, furono trovati i resti di
esseri straordinari. Alti meno di un metro, con piedi piatti enormi,
lunghe braccia e un cervello di dimensioni simili a quello di uno
scimpanzé, essi presentavano tuttavia molte caratteristiche umane. Ad
esempio lavoravano la pietra, producendo strumenti per cacciare topi
giganti, elefanti nani e perfino quegli enormi varani i cui discendenti
si possono ancora ammirare nelle vicinanze.
Secondo uno studio
recentemente pubblicato su «Nature» ora sappiamo che essi si estinsero
tra 50 e 60 mila anni fa, proprio in concomitanza con il nostro arrivo
in quella regione. Ma siamo stati proprio noi i colpevoli? «Anche se non
abbiamo ancora la pallottola che ha fatto fuori gli Hobbit — dice ai
giornalisti uno degli autori dell’articolo — abbiamo però trovato la
pistola fumante». Questa specie, nota anche come Homo floresiensis , era
sopravvissuta su quell’isola durante almeno due ere glaciali. Si
discute se si fosse evoluta localmente o provenisse anch’essa
dall’Africa. Noi Sapiens , invece, eravamo sicuramente di origine
africana. Il nostro viaggio verso Oriente era durato centinaia di
generazioni. Alti e snelli, dipinti con colori e disegni elaborati,
usavamo armi con punte micidiali che potevano colpire a distanza. Eppure
la nostra pericolosità non era meramente tecnologica; si nascondeva
anche nella capacità di immaginare mondi diversi, rispetto a quello
osservato, e di aderire a credi, stili di vita e norme di comportamento
che ci univano intorno alla stessa «cultura». Essa ci permetteva di
formare gruppi ampi e coordinati. Questo ci rendeva una specie
particolarmente pericolosa.
È possibile che anche l’uomo di
Denisova compaia fra le nostre vittime. Questa specie trae il suo nome
dalla caverna siberiana in cui, nel 2010, furono trovati alcuni suoi
resti: la falange di un dito mignolo e due denti. Anche questa specie si
estingue dopo il nostro passaggio. E che ciò sia accaduto dopo, e non
prima di incontrarci, è provato dal fatto che con loro abbiamo avuto
alcuni incroci genetici, di cui resta traccia nel Dna delle popolazioni
attuali in Oceania e nel Sud-est asiatico.
La storia delle
estinzioni che coincidono con il nostro arrivo sembra ripetersi di
continuo, e questo riguarda non solo altre specie umane, ma anche molte
specie animali di media e grossa taglia.
Con il tempo, gruppi di
Sapiens attraversarono l’ultimo tratto di mare che li separava dal
continente australiano. Dal registro archeologico sappiamo che per
milioni di anni enormi animali erano vissuti indisturbati su quel
continente, passando attraverso molte ere glaciali. Si trattava di
giganteschi marsupiali con il muso da cammello (diprotodonti), uccelli
senz’ali di una tonnellata ( genyornis ) e varani di 7 metri ( megalania
), solo per fare alcuni esempi. Tutti scompaiono con il nostro arrivo.
In soli duemila anni si estinguono 23 su 24 specie conosciute superiori a
50 chili e molte altre specie di peso inferiore. Generando vasti
incendi per cacciare, modificammo l’intera struttura della catena
alimentare del continente. Si è cercato di attribuire questo disastro ai
cambiamenti climatici, ma le scoperte archeologiche e paleoclimatiche
più recenti confermano la nostra responsabilità. E non sempre si può
indicare la caccia indiscriminata come prima causa delle estinzioni. Ad
esempio, gli abbondantissimi frammenti dei loro gusci d’uovo bruciati,
rinvenuti in tutto il continente, indicano come abbiamo fatto a
provocare l’estinzione di Genyornis , 47 mila anni fa. Non è stato solo
attraverso la caccia e la distruzione del loro habitat; è stato
soprattutto cibandosi delle loro enormi uova.
Pochi millenni dopo,
circa 45 mila anni fa, altri Sapiens arrivarono in Europa, dove da
tempo vivevano i nostri «cugini» Neanderthal. Essi erano passati
attraverso varie ere glaciali in un’area che andava dalla Spagna alla
Siberia, fino al Medio Oriente. Le datazioni di centinaia di campioni
provenienti da molti siti archeologici ci dicono che la nostra
convivenza con loro sarebbe stata inferiore a 3 mila anni: un periodo
relativamente breve, trattandosi di un’altra specie umana molto antica e
ben acclimatata. La sostituzione dei Neanderthal da parte nostra è
proceduta con uno schema a mosaico che ha accentuato l’allontanamento
delle diverse comunità di Neanderthal le une dalle altre. Gli ultimi
residui della loro cultura spariscono dal registro archeologico circa 40
mila anni fa. Ma tracce del loro Dna sono oggi presenti in tutti noi
Sapiens usciti dall’Africa, in una proporzione che va dal 2 al 4%. Già
prima del nostro arrivo, i Neanderthal avevano comunque subito una
profonda crisi demografica, riducendosi a non più di 70 mila individui,
suddivisi in piccoli gruppi lontani e isolati fra loro. C’è chi sostiene
che l’estinzione dei Neanderthal sia avvenuta perché abbiamo sottratto
loro le risorse per sopravvivere. Ma non si può dubitare che fosse già
in funzione l’esercizio esagerato della violenza che ha portato noi
Sapiens così spesso al genocidio. Per ora non esistono comunque prove
della nostra responsabilità diretta nella loro fine.
Storie simili
si possono raccontare per le Americhe, dove, in assenza di altre specie
umane, esisteva una meravigliosa biodiversità nei grandi mammiferi
dell’era glaciale. Il loro destino era comunque segnato. Con la comparsa
dei primi Sapiens , arrivati da Nord attraverso l’attuale Alaska, circa
15 mila anni fa, in poco tempo scompaiono la tigre dai denti a
sciabola, cammelli ed elefanti arcaici, e innumerevoli specie di
bisonti. In tutto, in Nord America spariscono 34 su 37 generi di grandi
mammiferi e in Sud America 50 su 60 generi. In tempi più recenti, sempre
in coincidenza con il nostro arrivo, si estinguono tutte quelle specie
che non avevano imparato a temerci: nei Caraibi il bradipo gigante (5
mila anni fa), in Madagascar il gigantesco uccello elefante, Aepyornis
maximus (2 mila anni fa), in Nuova Zelanda i grandi uccelli moa (800
anni fa), nelle isole Mauritius il dodo, Raphus cucullatus (500 anni
fa). Le estinzioni dei grandi animali in Africa e in Eurasia hanno avuto
un andamento più lento, poiché in questi casi gli animali si sono
evoluti con noi, imparando a temerci. Ciò nonostante si calcola che
molti di essi si estingueranno entro questo secolo. Secondo il Wwf,
anche se non conosciamo con precisione il numero delle specie che si
estinguono annualmente, sappiamo che oggi è minacciato il 23% dei
mammiferi e il 12% degli uccelli.
Ormai ogni zona del mondo
subisce i danni delle attività umane: dall’introduzione di dannose
specie aliene al commercio illegale di specie protette, dalla
distruzione degli habitat naturali ai cambiamenti climatici. Andando
avanti di questo passo, alla fine, resteremo solo noi Sapiens ? Certo
che no! Oltre ai pochi fortunati cui non prestiamo attenzione, saremo in
buona compagnia di mucche, polli, maiali, cani, gatti e di quei pochi
animali che ci saranno utili per l’alimentazione e lo svago. Più gli
insetti. Più ovviamente le nostre «creature»: i robot.