Corriere La Lettura 15.5.16
Magan, risorge l’Atlantide sepolta dal deserto
Fu
una civiltà misteriosa che fiorì dal Paleolitico al periodo
preislamico ai margini della Penisola arabica, sul ciglio dell’Oman. Una
mostra a Madrid celebra i fasti di una capitale, Mleiha, che rese
fertile la sabbia rossa e fu attratta dal mondo greco e romano
di Elisabetta Rosaspina
S
embrava quasi che fosse una favola, un nome — Magan — evocato dai
caratteri cuneiformi dei Sumeri nel 2300 avanti Cristo. Forse un mito,
come Atlantide. Ma, anziché a ovest, oltre lo Stretto di Gibilterra e le
Colonne d’Ercole, occorreva cercare riscontri a est, nel vicino
Oriente, da qualche parte della Penisola arabica, nello Yemen o magari
nell’Egitto meridionale, per alcuni esperti addirittura in Iran o in
Pakistan.
Pareva introvabile, il leggendario paese di Magan,
citato dai testi mesopotamici per il suo inesauribile tesoro di rame e
diorite e per i suoi invidiabili bastimenti; poi praticamente
dimenticato, sommerso da un mare di sabbia rosa. Fino alla fine dello
scorso millennio.
Dopo poco più di due decadi di scavi, gli
archeologi sembrano convinti di averlo localizzato e di essere anche
riusciti a ricostruire e documentare vita, morte e miracoli di quella
civiltà millenaria, dal Paleolitico al periodo pre-islamico, nel VII
secolo.
Per la prima volta un corposo campionario di prove del
ritrovamento, e delle conseguenti rivelazioni, è riunito ed esposto in
Europa, al Museo Archeologico nazionale di Madrid (fino al 29 maggio):
240 pezzi, in parte originali e in parte riprodotti, al 90% mai
presentati prima, raccontano il passato remoto e inesplorato dello
sperone nord-orientale della penisola dell’Oman, nella regione che oggi
coincide più o meno con il territorio di Sharjah, uno dei sette Emirati
Arabi Uniti. Il più impegnato nel mantenere attivi i suoi giacimenti
archeologici.
È una storia che ha cambiato le convinzioni sulla
rotta seguita dall’Homo sapiens, quando decise di emigrare dall’Africa. È
anche la storia di un popolo intraprendente ma tuttora pieno di
misteri; della vita quotidiana di al-Madam, un villaggio nell’Età del
ferro; della precoce ingegneria idraulica con la quale furono realizzate
le prime irrigazioni nel deserto; di fabbri, muratori, artigiani e
raffinati mercanti; e di una favolosa capitale, Mleiha, crocevia di
carovane e di merci pregiate, meno nota ma non meno affascinante di
Petra, in Giordania.
La mostra En los confines de Oriente Próximo.
El hallazgo moderno del país de Magán (Ai confini del Medio Oriente. Il
ritrovamento moderno del paese di Magan) è il frutto di vent’anni di
scavi di diverse missioni internazionali tra le quali una congiunta
franco-spagnola, in un’area riarsa e apparentemente incompatibile con la
vita umana. Il deserto infatti ha finito poi per riprendersi il suo
spazio e la sua supremazia. Ma ci fu un tempo in cui la terra di Magan
era abitabile e abitata, fertile e coltivata, quasi 3 mila anni fa, come
hanno scoperto proprio i ricercatori dell’Università Autonoma di
Madrid.
Sono stati i sondaggi spagnoli e le perlustrazioni aeree
in cerca di qualche anomalia nella morfologia del terreno a permettere
di individuare e di riportare alla luce una complessa conduttura falaj ,
il più antico sistema completo di architettura idraulica della penisola
dell’Oman, datato tra il 900 e l’850 avanti Cristo grazie alle tracce
fossili di molluschi. Due piani di gallerie ancora integre attestano la
tenacia degli architetti del tempo che, per resistere a una prima ondata
di siccità, scavarono un secondo canale sotto il primo, allo scopo di
continuare ad attingere l’acqua dall’impoverita falda freatica. Finché
un nuovo, feroce assalto climatico non li costrinse probabilmente ad
abbandonare la partita e il luogo.
«Il pezzo più importante della
mostra — ammette con “la Lettura” Carmen del Cerro Linares, direttrice
degli scavi dal 2014 e docente di Storia Antica all’Università Autonoma
di Madrid — però lo hanno trovato archeologi tedeschi. Questo frammento
di un’ascia di silicio è rivoluzionario per gli studiosi. Ha circa 125
mila anni e cambia i libri di preistoria, perché dimostra che l’Homo
sapiens, partito dall’Africa orientale, più o meno dall’attuale Etiopia,
non si diresse soltanto verso nord, varcando il Sinai, come si pensava,
ma anche verso est. Come? Attraversando il Mar Rosso che, nella parte
inferiore, separa l’Africa dalla Penisola araba per pochi chilometri,
all’epoca, asciutti. Era possibile, e quest’ascia ne è la prova».
L’aspetto
del reperto non è, a dire il vero, all’altezza del suo straordinario
valore scientifico, ma la mostra accontenta anche gli esteti, qualche
teca più in là: un piccolo pettine di avorio del 2300 avanti Cristo,
trovato in una tomba collettiva di 300 defunti, a Tell Abraq, un sito
verso la costa del Golfo, aggiunge informazioni sui riti funebri e
conferma ipotesi di intensi scambi con l’India e l’Asia centrale, da
dove provenivano l’avorio e la cornalina che impreziosiscono le collane e
gli ornamenti funebri estratti in questi anni.
«Gli incensieri,
molto simili a quelli che si usano ancora, appaiono già nell’Età del
ferro — aggiunge Carmen del Cerro Linares — e testimoniano l’esistenza
di un commercio con lo Yemen, dove abbondano gli alberi da cui viene
ricavato l’incenso. Quando i cammelli, molto più veloci, sostituirono
gli asini, cominciarono a viaggiare carovane cariche di incenso e di
alabastro. Più o meno sulla stessa rotta, attirati dalle ricchezze
dell’Arabia Felix, si sarebbero avventurati più tardi anche i Romani». I
cui souvenir, vetri, piccole anfore e una deliziosa Afrodite,
confermano quanto fosse sedotto il popolo di Magan dalla cultura greca e
da quella romana.
«Ci siamo resi conto che Mleiha doveva essere
stata certamente una grande capitale. Tanto è vero che aveva il diritto
di battere moneta», riflette la direttrice spagnola degli scavi. La
zecca locale si ispirava a quella romana e coniava la sua valuta sul
modello dell’aureo di Tiberio, con altrettanta perizia e profusione di
oro e argento.
Le necropoli riemerse dal loro lungo sonno sotto le
dune non hanno emozionato gli archeologi soltanto per quel pettinino
brunito che ancora carezzava i resti del teschio della proprietaria:
«Sono state rinvenute alcune stele funerarie — riferisce Carmen del
Cerro Linares — ma per la prima volta, in quest’area, una che era incisa
in due lingue: l’arabo meridionale e l’aramaico. L’iscrizione risale al
secolo tra il 250 e il 150 avanti Cristo ed è offerta da un sacerdote
al figlio morto». Non un sacerdote qualunque, perché l’autore della
dedica si definisce «il sacerdote del re di Oman»: «Questo ci ha
permesso di stabilire che esisteva un re e di determinare la più antica
citazione dell’Oman, precedente di ben tre secoli a quella riconosciuta a
Plinio il Vecchio, nel 40 dopo Cristo».
L’ultima sala della
mostra non contiene oggetti millenari ma la replica dell’impronta di un
piede: «Ce n’erano centinaia stampate nella pietra, mani e piedi
soprattutto infantili, su una superficie di circa 900 metri quadri, la
fabbrica dove pensiamo si lavorassero i mattoni per le abitazioni.
Mattoni molto resistenti, composti di roccia triturata. Non si era mai
trovato nulla di simile in Medio Oriente. Crediamo che lì i bambini
giocassero e non impastassero la terra». Meglio. Indizi di sfruttamento
minorile guasterebbero la magia di Magan.