Corriere La Lettura 15.5.16
Omero, Platone e lo stoicismo L’invenzione di mente e corpo
Teorie e teoremi Un libro notevole di uno dei massimi studiosi di filosofia antica. Con una distorsione prospettica
di Sandro Modeo
Bibliografia
Con
La rivoluzione dimenticata (Feltrinelli, edizione «accresciuta» 2013)
Lucio Russo ha ricostruito nei dettagli il «pensiero scientifico greco»
maturato nel periodo ellenistico. Il Nobel della Fisica Steven Weinberg
sostiene in un libro tradotto da poco (Spiegare il mondo, versione di
Tullio Cannillo, Mondadori, pp. 410, e 28) come la scienza moderna
rappresenti una svolta decisiva. Sul pensiero biomedico antico: Gilberto
Corbellini, Storia e teorie della salute e della malattia (Carocci,
versione rivista 2014)
«La scienza senza la filosofia è
arida; la filosofia senza la scienza è vuota». Il famoso aforisma di
Albert Einstein (come quello gemello per cui «la scienza senza la
religione è zoppa; la religione senza la scienza è cieca») rivela sotto
la falsa simmetria una critica più acuta e velenosa verso i pregiudizi
antiscientifici che verso quelli di senso opposto.
È una critica
da tenere in stand-by accostandosi a un libro notevole di uno dei
massimi studiosi di filosofia antica, Anthony A. Long, La mente,
l’anima, il corpo (Einaudi); una rassegna analitica dei «modelli greci
della mente e del sé» (così il titolo originale) estesa lungo mille anni
dall’età omerica allo stoicismo di epoca romana. È un percorso condotto
infatti con una chiarezza tematica e una trasparenza-eleganza
stilistica esemplari (ben restituite nella traduzione di Mauro Bonazzi),
ma che rischia di far scontare al lettore un prezzo (troppo) alto di
omissioni e arbitrii, se non di una vera distorsione prospettica.
Semplificando,
Long accorpa quei modelli in tre fasi storiche coincidenti con
altrettante tipologie: oltre alle due citate, campeggia quella centrale
della Grecia classica del V-IV secolo a.C. (l’età di Platone), anche se
il testo brulica di tante figure intermedie tra le varie fasi. Il
modello «omerico» inquadra i personaggi di Iliade e Odissea come
«identità psicosomatiche», in cui «stati mentali e stati fisici» sono
versanti plastici di un’unità funzionale, rispecchiati in termini ambi o
plurivalenti (vedi il thumos per rendere «il pulsare del sangue», ma
anche il «carattere» o «il centro di coscienza») spesso usati come
varianti o sinonimi secondo le cadenze dell’esametro. Il modello
«platonico» rappresenta invece — rispetto a quello omerico — la
transizione ontologica verso il «dualismo estremo» (corpo/mente,
materiale/immateriale), riassunta da quella terminologica di psyche ,
tesa a indicare non più funzioni organiche (il «respiro vitale» esalato
alla morte) ma l’«anima» incorporea, immortale e di ascendenza divina:
un’entità distante anni-luce dalle presenze fantasmatiche dell’Ade
omerico. Quanto ai modelli ellenistici e romani, Long parla di
«provocazioni» che poi però smussa e vela: riconosce la matrice
materialista dell’epicureismo (per cui l’anima è nel corpo), ma ne
rimuove ramificazioni letterarie come Lucrezio (con la sua critica della
religione) e Luciano (con la sua irrisione dell’Aldilà); così come
ricorda i picchi cognitivi dello stoicismo (l’«assenso» in quanto
percezione consapevole), ma ne rimarca poi soprattutto le convinzioni
sulla matrice divina dell’intelligenza umana. E riconduce l’uno e
l’altro — con parziale forzatura — sotto l’eredità platonica.
E
qui sta lo snodo-chiave: nonostante si sforzi di presentare il percorso
senza progressi lineari — e nonostante neghi personali «inclinazioni o
convinzioni teistiche» —, Long enfatizza in modo iperbolico a ogni
pagina la centralità platonica e la relativa cesura dualistica (anima
vs. corpo). Tutto legittimo, se questo non implicasse, oltre alle
smussature citate, una serie di rimozioni in direzione
materialistico-naturalistica (Long le chiama «le omissioni più grandi»),
con la flebile spiegazione per cui «una volta che la distinzione tra
anima e corpo è diventata moneta corrente», i filosofi greci sviluppano
il linguaggio della mente «secondo modalità sostanzialmente indifferenti
alla costituzione fisica della mente stessa», anche quando pensano che
sia «parte del corpo». Si tratta, di fatto, del consueto escamotage per
mostrare come si possa rinunciare al «dualismo di sostanza» (quello
platonico) ma non a quello «di proprietà» (mente e corpo, pur composti
della stessa materia, obbediscono a livelli descrittivi inconciliabili).
Escamotage fragile (il dualismo di proprietà è, psicologicamente, una
tautologia, o meglio una strategia adattativa selezionata
dall’evoluzione); ma con cui si provvede, in questo caso, a
un’estromissione radicale della «scienza» greca intesa sia nella sua
inseparabilità dalla filosofia, sia — come sostiene Lucio Russo a
proposito della «rivoluzione ellenistica» — nella sua autonomia
concettuale e metodologica.
Colpisce in particolare, in rapporto
alla «mente» e al «sé», la rimozione delle teorie bio-mediche. Pensiamo,
in età classica, all’antefatto misconosciuto di Alcmeone di Crotone,
che intuisce le differenze funzionali tra vene e arterie e soprattutto
riconduce cognizioni e sentimenti al cervello (organo che per
Aristotele, un secolo dopo, sarà ancora deputato a raffreddare il
sangue); o, va da sé, a Ippocrate e alla sua scuola, con scritti come il
De male sacro (sull’epilessia) che liberano il malato dal rapporto
colpa morale-punizione divina, riconducendo la malattia a cause
puramente naturali. E pensiamo, in età ellenistica — la stessa della
geometria di Euclide e del proto-eliocentrismo di Aristarco — a
personalità come Erofilo, che, confermando le osservazioni di Alcmeone,
descrive nei dettagli il sistema nervoso (in tutto coincidente con la
psyche ) e studia per primo i sintomi delle malattie mentali. Ricordando
come influenze comuni conducano a strade diverse (il concetto di
salute/malattia come equilibrio/squilibrio organico nella scuola
ippocratica è attinto dallo stesso concetto di «armonia matematica» di
Pitagora che ritroviamo dietro l’«anima razionale» e il «buon governo»
di Platone), è impossibile non cogliere nella svolta bio-medica un
«modello» cognitivo che va molto oltre l’ambito diagnostico-terapeutico.
Un modello che introducendo novità metodologiche (la verifica
sperimentale) e desacralizzando (al netto di residui rituali)
l’orizzonte psicologico, ridisegna il rapporto tra la mente e il mondo
secondo categorie che evitano ogni dualismo (di sostanza e di proprietà)
e richiamano semmai in chiave «scientifica» le «unità funzionali» del
sublime impressionismo omerico.
In questa prospettiva, la
«scienza» greca contiene molte premesse filosofiche di quella
successiva. Ed è qui che si insinua il secondo scotoma nella visuale di
Long. II fatto che il libro «attualizzi» il pensiero greco solo in senso
dualistico («La loro fisiologia può dirci ben poco sulla nostra
esperienza mentale odierna») ha in realtà lo scopo di un arroccamento
vetero-umanistico oggi . Quando scrive, nell’incipit, che tuttora non
esistono «riscontri scientifici che permettono di decidere, una volta
per tutte, se la mente è parte del corpo, o se è invece una sostanza
spirituale, oppure un epifenomeno del cervello» (o, subito dopo, che
«ancora non sappiamo, scientificamente parlando, cosa sia la
coscienza»), Long traduce una rimozione storica in
epistemologico-cognitiva.
Eppure, basterebbe conoscere anche solo i
rudimenti della teoria del «darwinismo neurale» di Gerald Edelman,
degli studi di Antonio Damasio sul rapporto corpo/cervello (o sul ruolo
delle aree emozionali nei processi decisionali) e di quelli di Giulio
Tononi sui livelli di «integrazione dell’informazione» (corrispondenti a
coscienza e inconscio, sonno e veglia) per vedere l’infondatezza di
quell’arroccamento. Anzi, in ottica neuroscientifica lo stesso Platone
(che per Edelman, a proposito di teoria della mente, «non si può nemmeno
dire che si sbagliasse: non è neanche in considerazione») potrebbe
essere rivisitato collegando la sua dialettica cognitivo-emotiva ( il
«controllo» della ragione sulle passioni) a quella tra regioni corticali
e sistema limbico.
Forse ora — riattivandolo dallo stand-by — si può comprendere il senso profondo dell’aforisma di Einstein.
ANTHONY A. LONG La mente, l’anima, il corpo Modelli greci Traduzione di Mauro Bonazzi EINAUDI Pagine 152, e 20