lunedì 9 maggio 2016

Corriere 9.5.16
Perché è conveniente per tutti far studiare da noi i rifugiati
di Fabio Rugge
Professore ordinario di Storia delle istituzioni politiche
Rettore dell’Università degli Studi di Pavia, delegato Crui per le relazioni internazionali

Caro direttore, ogni anno circa cinque milioni di giovani svolgono delle attività di formazione superiore (universitaria o parauniversitaria) in un Paese che non è quello in cui sono nati.
A questa vastissima popolazione di emigrati se ne sta per aggiungere uno spicchio, piccolo, ma significativo. Si tratta di quanti emigrano non per un progetto di studio, ma in fuga dal loro Paese per salvare la vita, la dignità, la speranza. Sono i rifugiati: emigranti con uno status particolare, diverso da quello dei normali profughi. Si tratta di donne e uomini che fuggono discriminazioni politiche e razziali riconosciute come tali. Giungendo nel Paese ospite, ricominciano da zero. Se sono giovani, il loro patrimonio di formazione precedente viene disperso.
A loro è rivolto un nuovo progetto. Lo ha lanciato l’europarlamentare Silvia Costa. Hanno aderito il ministro dell’Università Stefania Giannini e il presidente della Conferenza dei Rettori Gaetano Manfredi. Tre Università, il Politecnico di Torino e lo Iuav e Ca’ Foscari a Venezia, si incaricheranno, da settembre, di far decollare l’esperienza.
L’hanno chiamata «corridoio formativo». Darà la possibilità a circa 60 rifugiati di seguire dei corsi universitari legati alla conservazione dei beni culturali. Torneranno in patria — quando potranno — a dare il proprio contributo in questo settore. O resteranno da noi, mettendo a disposizione la professionalità acquisita. Il progetto graverà sugli Atenei, che non esigeranno da questi studenti tasse di iscrizione.
Un’esperienza simile è partita anche in altri Atenei. A Pavia, per esempio, gli studenti ammessi ai corsi in lingua inglese dell’università sono stati, già quest’anno, quindici. Sono stati ammessi gratuitamente anche nei prestigiosi «collegi di merito» pavesi. Infatti, nella lista di rifugiati fornita dallo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) una commissione ha scelto solo i più meritevoli. E nella vita collegiale essi troveranno una vera occasione di integrazione e un sostegno al loro nuovo, esigente impegno.
Bene. Però un dubbio rimane in agguato: perché pagare gli studi ai rifugiati, quando le risorse spesso mancano per le borse di studio agli italiani? Una risposta vale per chi è particolarmente sensibile alle ragioni umanitarie. C’è un dovere morale di aiutare, almeno in una piccola quota, gli ultimi, i diseredati, gli sradicati.
Ma c’è un ragionamento ulteriore. Soprattutto tra i profughi sono presenti un alto tasso di scolarizzazione e una buona quota di talenti. Coltivandoli, mettiamo i migliori a disposizione della nostra società. In alternativa, possiamo considerarli utili interlocutori per il futuro della nostra economia e della nostra cultura. Infatti, quando torneranno nel loro Paese, magari in posizioni dirigenziali, è al nostro che continueranno a guardare. Sicuramente con gratitudine.