Il Sole 9.5.16
Coppie di fatto, la legge «segue» i giudici
Approda
oggi in Aula alla Camera il Ddl Cirinnà che introduce tutele rafforzate
per i partner omosessuali ma più limitate per i conviventi
eterosessuali
Le nuove garanzie su casa comune e assistenza materiale recepiscono le soluzioni fissate dalla giurisprudenza
di Valentina Maglione e Selene Pascasi
Tutele
rafforzate per le coppie omosessuali, più scarne per quelle etero. Il
disegno di legge presentato dalla senatrice del Pd Monica Cirinnà – già
approvato dal Senato, e che approda oggi in Aula alla Camera per
ottenere il sì definitivo entro la settimana– traccia due corsie diverse
per le famiglie di fatto. Mentre le unioni civili tra persone dello
stesso sesso stanno per essere equiparate quasi del tutto ai matrimoni,
per le convivenze di fatto tra eterosessuali è prevista una
regolamentazione più “leggera”, che recepisce in molti casi le soluzioni
adottate dai giudici negli ultimi anni; e nei vuoti che la riforma
lascia, a indicare la direzione restano le sentenze.
Le unioni civili
Riservate
alle coppie omosessuali, le “unioni civili” si avvicinano quasi sotto
ogni aspetto ai matrimoni: ai conviventi sono riconosciuti gli stessi
diritti dei coniugi in tema di successione, Tfr, pensione di
reversibilità, alimenti, assistenza morale e coabitazione. A differenza
del matrimonio, l’unione civile non prevede però l’obbligo di fedeltà,
né la possibilità di adottare, neanche il figlio del partner. Il Ddl
prevede poi tempi più rapidi di quelli del divorzio per chiudere
l’unione civile: bastano tre mesi da quando i partner hanno dichiarato
di volersi separare all’ufficiale dello stato civile.
Le convivenze di fatto
Per
le coppie eterosessuali il Ddl introduce lo status di “conviventi di
fatto”. Le tutele ai partner sono però limitate: norme ad hoc sono
previste per gli alimenti se il rapporto finisce (calcolati in base alla
durata del rapporto), il risarcimento del danno in caso di morte del
partner per illecito di un terzo(segue gli stessi criteri stabiliti per i
coniugi), l’impresa familiare (al partner spetta la partecipazione agli
utili) e l’assistenza in caso di malattia e di ricovero. Inoltre, il
Ddl interviene sulla casa comune prevedendo che, se muore il partner
proprietario, l’altro convivente può continuare a viverci per due anni o
per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni, ma mai per
più di cinque. Se nella casa vivono anche figli minori o disabili del
convivente superstite, quest’ultimo può abitarla per almeno tre anni, ma
il diritto cade se cessa di abitarvi stabilmente o in caso di
matrimonio, unione civile o nuova convivenza. La convivenza diventa
anche titolo/causa di preferenza per l’assegnazione degli alloggi
popolari.
Le sentenze
Sugli aspetti non regolati dal Ddl, ai
conviventi non resta che affidarsi all’ombrello di garanzie fissato
dalla giurisprudenza, che ha affrontato a più riprese l’aspetto della
casa comune. In caso di morte di uno dei conviventi, i giudici hanno
riconosciuto al superstite il diritto di subentrare nel contratto di
locazione stipulato dal partner, provata la stabile coabitazione e
comunanza di vita.
Anzi, il convivente può (secondo la sentenza
3548/13 della Cassazione) succedere nell’affitto della casa anche in
caso di passaggio intermedio: ad esempio se, morto il titolare, sia
subentrata la figlia che, deceduta, abbia lasciato la casa al
convivente. La Cassazione (sentenza 7/14) ha anche affermato che il
partner non proprietario, a fine legame, non può essere allontanato con
forza dal tetto familiare, essendone detentore qualificato, abilitato
alla tutela possessoria, ma occorre concedergli un termine congruo per
reperire un’altra sistemazione (Cassazione, sentenza 7214/13). La tutela
possessoria è estesa a terzi: anche chi eredita la casa non può mettere
alla porta il convivente del defunto (Cassazione, sentenza 19423/14). E
in caso di separazione, è indiscussa l’assegnazione del tetto familiare
al genitore collocatario dei figli minori o non autonomi (Cassazione,
sentenza 17971/15).
I giudici hanno anche riconosciuto il diritto
del convivente a ricevere assistenza morale dall’altro: i versamenti sul
conto del partner sono ritenuti obbligazioni naturali non ripetibili
(Tribunale di Treviso, sentenza 258/15) e si presume la contitolarità
delle somme versate su conto cointestato (Cassazione, sentenza
26424/13).
Il convivente è anche tutelato come vittima di
maltrattamenti familiari, considerata, a prescindere dall’effettiva
durata del rapporto, la prospettiva di vita comune con la quale aveva
instaurato la convivenza (Tribunale di Bari, sentenza 3289/15).
La successione
Per
le coppie eterosessuali resta senza regole la successione. Il Ddl
infatti prevede la possibilità di sottoscrivere un contratto di
convivenza per regolare le modalità di contribuzione ai bisogni
familiari o altri aspetti economici, ma non interviene in materia di
diritti ereditari. Né si tratta di una materia che possa essere
disciplinata dai giudici. Così, per poter “lasciare” una fetta del
proprio patrimonio al partner superstite si deve ricorrere ad altri
strumenti: donargli beni o diritti, costituire in suo favore un diritto
reale di godimento, scegliere la comunione per gli acquisti fatti
assieme, estendergli le prestazioni garantite dalla polizza sanitaria,
nominarlo beneficiario di assicurazione sulla vita, redigere testamento e
attribuirgli la quota consentita per legge. È ammessa anche la
redazione di due testamenti “a specchio” con cui ogni convivente designa
erede l’altro, ma solo per la quota disponibile.