Corriere 6.5.16
Perché la riforma costituzionale non tradisce la Repubblica
di Sabino Cassese
La
riforma costituzionale, approvata due volte dalle due Camere a
maggioranza assoluta, che sarà sottoposta in autunno a referendum
confermativo, si sta caricando, nel dibattito animato in svolgimento, di
significatie valenze ulteriori. Saràbene, quindi, esaminare
spassionatamente che cosa prevede la riforma e perché.Al suo centro vi
sono due parti: riduzione di dimensioni e poteri del Senato; sua
trasformazione in organodi rappresentanza di Regioni e Comuni. C’è
allora da chiedersi perché abbandonare il bicameralismo perfetto o
paritario e perché ridisegnare poteri e ruolo delle Regioni.
Perché
lasciare alle nostre spalle un sistema parlamentare binario, che
secondo molti serve per rendere più riflessiva la funzione parlamentare,
per correggere gli errori che una sola Camera può fare? Una ragione
c’è. Quando fu approvata la Costituzione, il popolo votava soltanto per
il Parlamento nazionale. Nel 1970 fu chiamato a votare anche per i
consigli regionali. Nel 1979 fu chiamato a votare anche per il
Parlamento europeo. Questi corpi concorrono con il Parlamento nazionale
alla formazione delle norme. Svolgono con efficacia la funzione di
contrappeso. Si aggiunge a questi il controllo della Corte
costituzionale, organo di bilanciamento per eccellenza, in funzione dal
1956. Quindi, il compito originario del Senato — che questo comunque ha
svolto molto poco, limitandosi ad essere un doppione o un fattore di
ritardo — si è esaurito.
Perché ridefinire
compiti e ruolo delle Regioni, ciò che secondo alcuni costituisce un
riaccentramento di poteri? Anche qui vedo una ragione. Da un lato,
infatti, le Regioni, con la riforma del 2001, avevano visto ampliate le
proprie funzioni in aree di interesse nazionale, costringendo la Corte
costituzionale a una minuziosa attività di ridefinizione di ciò che è
locale e di ciò che è nazionale. Dall’altro, le Regioni, attori
importanti dello scacchiere pubblico, erano ferme al livello
amministrativo. La riforma costituzionale riconosce l’opera
quindicennale della Corte costituzionale e affida allo Stato temi come
il commercio estero, le disposizioni generali e comuni per la tutela
della salute, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale
dell’energia. Viene ora, quindi, operato un ragionevole riequilibrio,
dando rilevanza costituzionale alla rappresentanza regionale e locale, e
alla funzione di raccordo tra i diversi livelli di governo, nonché
riconoscendo — solo per fare un esempio — che il diritto alla salute è
eguale per tutti i cittadini: va quindi concretamente assicurato nello
stesso modo su tutto il territorio nazionale. Se, in futuro, le Regioni
avranno l’intelligenza di portare al Senato più voci della società
civile e dei corpi intermedi, ne trarremo un beneficio ulteriore.
Restano
due interrogativi: non stiamo modificando troppo spesso la Carta
costituzionale? Il ridisegno del Senato e delle Regioni può incidere
sulla forma di governo parlamentare? Si tratta di preoccupazioni
importanti, che vanno considerate, perché il patriottismo costituzionale
è una importante parte della storia repubblicana e perché un
cambiamento del sistema parlamentare non può essere compiuto per vie
traverse. La prima preoccupazione non ha ragion d’essere. La
Costituzione tedesca, che ha la stessa età della nostra, è stata
modificata un numero di volte quasi quadruplo rispetto a quella
italiana, e su punti più rilevanti di quelli toccati dalle nostre 15
modificazioni in 70 anni di vita della Repubblica. La circostanza che il
governo avrà la fiducia della sola Camera dei deputati non modifica il
sistema parlamentare, evita soltanto la stanca e inutile ripetizione
della procedura di votazione della investitura parlamentare al governo
in due assemblee con analoghe maggioranze (o la paralisi del sistema
quando le maggioranze divergono).
Insomma,
per quanto i toni si stiano alzando, l’assetto costituzionale che esce
dalla riforma si iscrive nella nostra tradizione repubblicana e le fa
fare un passo avanti, consolidandola.