Corriere 5.5.16
Il partito della nazione di Alfio che cerca voti a casa D’Alema: Linda è un’amica, mi dirà di sì
di Francesco Verderami
ROMA
Eccolo il Partito della nazione: doveva farlo Matteo Renzi, lo sta
costruendo Alfio Marchini. Certo, è un edificio in miniatura, limitato
(per ora) al voto nella Capitale. Ma il progetto è speculare a quello
del leader democratico, solo che muove in direzione opposta: parte dal
centro (destra) per conquistare anche l’opinione pubblica di sinistra.
Con un elettore d’eccezione. «Chi ama Roma mi vota», sorride Marchini,
come a voler accreditare — senza esporsi — la tesi che va per la
maggiore nel Palazzo, da quando Massimo D’Alema ha bocciato la scelta
del Pd di puntare su Roberto Giachetti: «Non è adatto», sentenziò. E
siccome la grillina Virginia Raggi non è politicamente il suo tipo, e
Giorgia Meloni — per dirla con i suoi compagni — «per lui è troppo di
sinistra», non resta che Marchini nel lotto dei possibili vincenti nella
sfida per il Campidoglio.
È vero che Marchini sostiene di non
sentire «Massimo da qualche tempo», ma il muro della riservatezza è
fragile e infatti cede: «... Eppoi, dato che in famiglia comandano mogli
e figli, io punto al voto di sua moglie, Linda Giuva. E lei, che è
un’amica, non potrà dirmi di no». Insomma, due voti li considera sicuri.
D’altronde i rapporti tra il líder maximo e l’erede della dinastia
romana «calce e martello» hanno fondamenta profonde. Fu a casa di
Marchini che D’Alema incontrò Francesco Cossiga per organizzare il «dopo
Prodi», fu a casa di Marchini che D’Alema — diventato premier — conobbe
il gran regista di Mediobanca Enrico Cuccia, c’era anche Marchini tra i
soci fondatori di Italiani-Europei, e prima ancora tra gli azionisti
dell’ Unità quando D’Alema era a capo dei Ds.
Perciò non sarebbe
sorprendente vedere l’uomo forte della sinistra Anni Novanta a fianco
del candidato sindaco. Se non fosse che oggi a braccetto dell’«amico
Alfio» si è aggiunto — nientepopodimenoche — Silvio Berlusconi. E più si
avvicina la data delle urne più l’autobus di Marchini si affolla e
pende a destra, se è vero che ieri persino Umberto Bossi — in avversione
a Matteo Salvini — ha fatto l’endorsement per Marchini. In questa
faccenda che sa di regolamento di conti generazionale tra il vecchio e
nuovo centrodestra, D’Alema non c’entra e forse potrebbe avere qualche
imbarazzo a trovarsi seduto a fianco dell’antico rivale. O forse no,
dato che Marchini invita a «smetterla con il passato»: «Dopo settanta
anni siamo ancora a Peppone e don Camillo? Non se ne può più». Così
dicendo, apparecchia una bicamerale con vista Campidoglio.
Non è
amarcord però. La verità è che un pezzo di sinistra storica romana fa il
tifo per Marchini, senza preoccuparsi se insieme a lui ci sono i nemici
di un tempo. Anzi, Duccio Trombadori, pittore e figlio di un famoso
partigiano mandato al confino da Mussolini, in un’intervista al Dubbio
ha detto di non aver problema a stare dalla parte di «Alfio e della
nipote del Duce», Alessandra Mussolini, «che dimostra di essere persona
capace di superare cose ormai del passato». Ad alimentare a Roma la
versione aggiornata di quel che fu in Sicilia il milazzismo è, per un
verso, l’ostilità nei confronti di Renzi e della sua logica
rottamatrice. Ma c’è anche la visione pragmatica di chi — come il
sindaco di Torino, Piero Fassino — pur se schierato nel Pd dalla parte
del premier, ritiene comunque che «Marchini sia l’unico nella Capitale a
poter battere la Raggi al ballottaggio».
In effetti, dopo
quindici anni di dissesto politico economico e infine morale, è
possibile che i grillini conquistino il Campidoglio dopo aver aperto una
breccia a Porta Pia, dopo aver incassato persino dal segretario di
Stato Vaticano, Pietro Parolin, un attestato a favore della loro
candidata, «alla quale auguro ogni successo, di diventare quello che
vuole diventare». Ecco allora spiegata la funzione del Partito della
nazione romano, che abbraccia ecumenicamente ciò che resta dell’impero
berlusconiano, la vecchia Chiesa post-comunista e anche la Chiesa delle
parrocchie. Perché Parolin non l’avrà citato, «ma in ogni oratorio in
cui vado — racconta Marchini — il sagrestano mi viene ad accogliere e mi
dice: “Ingegne’, noi sagrestani la votamo tutti”».
E chissà se
D’Alema annuncerà davvero di votarlo, sotto la spinta della consorte.
Per ora ha solo bocciato il candidato di Renzi, che sta sempre nei suoi
pensieri, anche quando i compagni della minoranza lo cercano per il suo
compleanno. È accaduto tre settimane fa, mentre era a New York, da dove
ha risposto agli auguri con il solito tono: «Siete senza spina dorsale,
diciamo. Quello è un problema per l’Italia, sta liquidando il partito e
voi niente». «In famiglia contano moglie e figli», ripete Marchini, che
ha avuto modo di verificarlo un paio di mesi fa, quando gli si parò
davanti Maurizio Gasparri, disperato: perché il Cavaliere puntava ancora
su Bertolaso, «e mia figlia — confidò il dirigente forzista — è venuta a
dirmi che vuole votare te, Alfio. L’ha pure scritto in rete». Mogli,
figli, compagni e sagrestani. Tutti con Marchini. Alla vigilia.