Corriere 5.5.16
La psicologa del caso Fortuna «Il coraggio di quei piccoli che hanno svelato l’orrore»
di Fulvio Bufi
NAPOLI
Non ne vedremo mai i volti e non conosceremo mai i nomi, ma non è
questo che conta. Dei bambini del Parco Verde di Caivano — di quelli che
vivevano nell’Isolato 3, dove il 24 giugno 2014 fa fu uccisa Fortuna
Loffredo, Chicca — conta la forza e il coraggio. Perché c’è la loro
forza e il loro coraggio, pure se hanno 11 anni, sei anni, tre anni,
dietro la svolta nelle indagini sulla morte di Chicca che ha portato
all’incriminazione per omicidio di Raimondo Caputo.
Un percorso
complicato e sofferto che i bambini hanno fatto avendo accanto una
psicologa, la dottoressa Rosetta Cappelluccio, che li ha seguiti giorno
per giorno, cogliendone i segnali di disagio così come quelli di
disponibilità ad aprirsi. «Quello che gli adulti sapevano ma negavano o
tenevano per sé, i bambini sono stati capaci di raccontarlo», riflette
la dottoressa. E non c’è solo la drammatica testimonianza della bimba
che riferisce di aver visto Caputo sul terrazzo cercare di violentare
Fortuna e poi prenderla in braccio e andare verso il parapetto, e un
attimo dopo era precipitata. Molto altro è venuto fuori. Altre storie di
bambini violati, altri racconti dolorosi, altre famiglie coinvolte.
In
questa storia gli adulti sono solo imputati, oppure indagati per falsa
testimonianza o reticenza. Soltanto i bambini hanno parlato, è toccato a
loro trovare termini che nemmeno conoscevano per spiegare cose che mai
avrebbero dovuto conoscere.
La dottoressa Cappelluccio fu una
delle prime persone a mettere piede al Parco Verde dopo la morte di
Fortuna, chiamata dal pubblico ministero che avviò le indagini, Federico
Bisceglia, morto poi in un incidente stradale. «Mi resi conto degli
abusi sui bambini ancora prima che gli esami accertassero che Fortuna
era stata violentata», racconta. «In quel palazzo tutto parlava di
violenza sui bambini, c’erano segnali inequivocabili, ed è tragico che
nessuno sia stato capace di coglierli prima».
Rosetta Cappelluccio
non è alla prima consulenza con la Procura, casi drammatici ne aveva
già trattati: «Ma quello che ho visto stavolta non è paragonabile a
niente». Ha visto i bambini violentati dai genitori, ne ha raccolto le
testimonianze e ne ha colto le sfumature. Come quella che quando parlava
del padre lo chiamava «papà», ma arrivata a riferire delle violenze
cambiava e lo chiamava per nome. O come quella che raccontava tutto ma
teneva sempre fuori la mamma, che però aveva responsabilità evidenti. La
lasciava da parte «perché non voglio farle male», diceva. La mamma le
aveva fatto male permettendo che il suo uomo la violentasse e lei la
proteggeva.
Ecco che cosa hanno dovuto imparare ad essere i
bambini del Parco Verde. «Migliori dei genitori, migliori di tutti gli
adulti di quel palazzo che hanno fatto finta di non sapere, di non
vedere, di non sentire», sintetizza la psicologa.
Non erano solo
violati, i bambini. Erano anche minacciati, intimiditi. Usati. Come
Caputo usa la sua bambina per crearsi un alibi quando lo accusano di
aver ucciso Fortuna. E dice che mentre Chicca moriva, lui era con la
figlia giù nel parco, credendo (e sbagliando) che a soli tre anni fosse
troppo piccola per smentirlo.
Ma con i loro racconti i bambini del
Parco Verde è come se si fossero ribellati. E probabilmente altri
adulti pagheranno per ciò che è accaduto in quel palazzo, oltre
l’omicidio di Chicca. Per ora è tornata in carcere Marianna Fabozzi, che
era ai domiciliari accusata di aver coperto le violenze del convivente
Raimondo Caputo sulle figlie.