Corriere 5.5.16
C’era una volta la rivoluzione di Mao
Ecco il viaggio iniziatico di Edgar Snow
di Marco Del Corona
C
i sono viaggi dai quali si torna ma che non riportano a casa. Viaggi di
sola andata, perché consegnano a una dimensione permanente, a
un’esperienza dalla quale non è possibile uscire. Il viaggio di Edgar
Snow nelle basi della guerriglia cinese e i suoi incontri con la
leadership comunista appartengono a questo genere di avventura. Lo
scrive lo stesso Snow al termine di Stella rossa sulla Cina , con uno
struggimento che non si ritrova neppure nei passaggi più drammatici del
suo resoconto: «… Guadai il fiume, agitai la mano in segno di saluto e
cavalcai via con la mia piccola carovana. Forse ero l’ultimo straniero
che li vedeva vivi, pensai». E di seguito: «Non mi sentivo come uno che
torna a casa, ma come uno che se ne sta allontanando».
Testimone e
comprimario, dunque: Snow non solo fu il primo giornalista occidentale a
penetrare nei territori off limits della rivoluzione. Consegnò al mondo
un testo che segnò il primo punto di contatto con una realtà, umana
prima ancora che ideologica, fino ad allora sfuggente, circonfusa di
mistero. E quel testo rimase a lungo una sorta di pietra di paragone per
fare i conti con la genesi della Cina di Mao Zedong, oltre che uno
strumento per leggere l’affermarsi di un modello comunista che sin dagli
inizi mostrava tratti distanti da quelli dell’Unione Sovietica. Snow,
corrispondente statunitense di base a Pechino, era penetrato nelle aree
controllate — parole sue — dalla «banda di tisici» di Mao, rimanendovi
per mesi tra il 1936 e il ’37. Concluse la stesura del libro il 20
luglio ’37; e quasi trent’anni dopo — lo dimostra l’appassionata
introduzione di Enrica Collotti Pischel all’edizione italiana — si
attingeva alle sue pagine con una devozione che, oggi, pare andare al di
là del rispetto dovuto a un documento rilevante.
Lo sforzo di
obiettività di Snow appare offuscato dall’evidente simpatia per patrioti
reduci da una — ancora parole sue — «donchisciottesca spedizione». La
sua ammirazione per la Lunga marcia, con cui dall’ottobre 1934
all’ottobre 1935 i comunisti sfuggirono alla «campagna d’annientamento»
dei nazionalisti di Chiang Kai-shek, diventa tutt’uno con uno dei miti
fondanti della Repubblica popolare. Snow si offre come tramite fra
quell’epopea e il suo mondo, l’Occidente. E le sue parole, a prescindere
dalle successive conquiste storiografiche e interpretative, al netto
delle critiche anche durissime al suo essere «di parte», continuano a
significare qualcosa: per noi e in Cina.
Oltre al valore
documentario, Stella rossa sulla Cina fa scattare altri e più profondi
meccanismi. Antecedente di tanti reportage dalle guerre dell’Asia
novecentesca, l’avventura di Snow è un viaggio iniziatico. Un’odissea
umana e letteraria, a ben vedere, affine a certe favole. Il canovaccio
appartiene alla famiglia del Flauto magico mozartiano o del Signore
degli anelli , oltre che, naturalmente, di tante narrazioni della
tradizione cinese: il protagonista deve affrontare un viaggio pericoloso
in terre sconosciute, confidare in pochi amici, fare assegnamento su se
stesso, portare a casa la pelle e qualcosa di prezioso. Andrà così, in
effetti. Snow lascia Pechino e la sua casa tradizionale dove, nella
corte, ha fatto allestire un campo da tennis; dopo tante peripezie se ne
uscirà con un racconto straordinario e con informazioni che nessuno
aveva raccolto prima di lui. Significativo, tra l’altro, che il titolo
cinese di Stella rossa sulla Cina , cioè «Note a caso di un viaggio a
Occidente», evochi il Viaggio a Occidente , romanzo di epoca Ming, un
classico della tradizione cinese: in quel caso l’avventura verso ovest è
intrapresa per cercare dei testi sacri, proprio come Snow insegue il
verbo di Mao… C’era una volta la rivoluzione, dunque.
La
componente iniziatica si stempera nel distacco e nello humour che Snow
mostra a più riprese. Il giornalista esprime sorridendo certi suoi
timori («Non sapendo esattamente cosa significasse “comunismo” per
quegli uomini, ero preparato a vedere i miei effetti personali
prontamente “ridistribuiti”») o racconta divertito una sua esibizione
canora («Furono molto gentili. Non mi chiesero il bis»).
E si può
tracciare un parallelo tra lo sguardo di Snow sul movimento comunista e
il Mao restituito nelle sue pagine. La vita del leader è, a sua volta,
una lunga marcia. Il precoce risveglio patriottico e ideologico di Mao
rispecchia quello del suo popolo. Prendendo in prestito categorie della
biologia e capovolgendole, si potrebbe dire che la filogenesi ricapitola
l’ontogenesi: il destino di un popolo ricalca quello del suo leader.