mercoledì 4 maggio 2016

Corriere 4.5.16
Il cardinale Pietro Parolin
«Il dialogo vince ogni difficoltà. Con la Cina molte speranze»
Il segretario di Stato parla di Islam, Chiesa ortodossa, Terra Santa:
«Per avere la pace bisogna chiederla»
di Enzo Fortunato*

Papa Francesco ha fatto fare al dialogo un salto di qualità su più fronti, a partire dal dialogo con la Chiesa Ortodossa. Lei cosa ne pensa?
«Non posso che rallegrarmi di questo sviluppo perché credo che il dialogo sia necessario, soprattutto al giorno d’oggi quando ci sono così tante incomprensioni tra gli uomini e tra i gruppi, tra le religioni. Il fatto che il papa abbia insistito, e continui a insistere, è testimoniato anche dal suo viaggio in Turchia. Durante la conferenza stampa (riguardo il viaggio in Turchia, ndr ) ha ribadito quello che già aveva detto in precedenza, all’inizio del suo pontificato: lo strumento per superare le difficoltà di oggi, le difficoltà di comprensione e avvicinare i popoli è il dialogo. Spero che lentamente entri nel Dna delle persone questa necessità di parlarsi, perché dialogo significa parlarsi, incontrarsi, capirsi e trovare ambiti e terreni comuni dai quali è possibile partire per collaborare, senza rinnegare le diversità per integrarle».
Guardiamo ad Oriente col dialogo. Quale sarà lo sviluppo del dialogo con la Cina?
«È stato ed è un cammino lungo che ha conosciuto fasi alterne, che non è ancora concluso e che si concluderà con i tempi di Dio. Credo che nei confronti della Cina dobbiamo adottare visione teologica. Attualmente siamo in una fase positiva, ci sono stati dei segnali da entrambe le parti di volontà di continuare a parlarsi e di trovare insieme delle soluzioni ai problemi della presenza della Chiesa Cattolica in quell’immenso Paese. Personalmente oserei dire che le prospettive sono promettenti e speriamo che queste gemme fioriscano e diano un buon frutto, per il bene della Cina stessa e di tutto il mondo».
Gerusalemme e la Terra Santa. Sembrava che si fosse fatto un grande passo in avanti con l’incontro di Roma. In seguito la guerra a Gaza, adesso gli attentati terroristici per strada. Cosa è successo?
« È difficile dire cosa sia successo. Certamente, come ha detto il Papa, tutto quello che è stato fatto, soprattutto a livello di preghiera, non è mai inutile anche se hai nostri occhi può apparire tale, magari può subentrare qualche disillusione, amarezza perché non abbiamo davanti i risultati, ma è stato messo un punto fermo: per raggiungere la pace dobbiamo chiederla, prima di tutto al Signore. Dobbiamo chiederla affinché il Signore converta i cuori, aiuti le persone a capire che al di fuori della pace non ci sono altre alternative. In Terra Santa bisogna tornare al negoziato, non ci sono altre possibilità, ma per farlo c’è bisogno di costruire un clima di fiducia che oggi è molto ridotto e quindi è importante che da ciascuna delle parti si pongano dei gesti, dei segni che portino alla fiducia. Quando ci sarà fiducia sarà possibile anche negoziare ».
L’altro grande fronte è quello dei migranti. Sono flussi migratori imponenti che caratterizzano la nostra epoca. Come può papa Francesco rispondere alla paura che sta aumentando di fronte ai migranti?
« Quello che ha appena detto è una costante riconosciuta da tutte le associazioni che si occupano di migranti e dagli stessi governi. Le immigrazioni non sono più un’emergenza ma una realtà, una caratteristica strutturale della nostra epoca e per questo motivo servono della politiche di integrazione, che siano comuni, che il problema sia assunto da tutti e tutti cerchino di dare una risposta. È difficile convincere chi ha paura, non c’è peggior consigliere che la paura. La Chiesa deve testimoniare, insegnare: insegnare fraternità e prossimità, testimoniare con le sue opere sia la fraternità che la prossimità ».
Il dialogo con l’Islam e le altre religioni, l’accoglienza dei migranti, l’amore per il creato. Quanto papa Francesco sta traendo ispirazione da san Francesco?
«Ci ha dato un’indicazione molto precisa con la scelta di questo nome. Si capiva che non era soltanto il nome, ma dietro di esso c’è anche un programma, soprattutto questo programma di semplicità evangelica e di povertà, di una Chiesa trasparente che si liberi da tutto quello che le impedisce di vivere, di testimoniare Cristo per poter essere vicina a tutti, soprattutto a coloro che più soffrono nel corpo e nello spirito» .
* direttore della rivista «San Francesco»